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La tragedia greca troverà il suo eroe?

di Martin Wolf

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20 gennaio 2010

Il governo greco ha promesso di ridurre il deficit di bilancio dal 12,7% stimato per l'anno appena trascorso al 3% del prodotto interno lordo entro il 2012. È plausibile un'impresa del genere? Non molto. Ma la Grecia è solo un canarino nella miniera di carbone dei bilanci pubblici. Altri paesi dell'Eurozona sono sotto pressione per ridurre il disavanzo. Che effetti può produrre una pressione del genere sugli stati membri più vulnerabili, sull'area euro e sull'economia mondiale?

Dopo aver falsificato le cifre per anni, dopo aver violato la fiducia dei suoi partner, Atene è caduta in disgrazia. Ma anche se la colpa è in gran parte sua, il compito che deve affrontare è sovrumano. Soprattutto perché, a differenza della maggior parte dei paesi con un enorme deficit di bilancio (ad esempio il Regno Unito), la Grecia non può compensare l'impatto del risanamento dei conti pubblici con un allentamento della politica monetaria o con una svalutazione della moneta.

La Grecia fa parte di un'unione valutaria che adotta la politica monetaria più rigida di tutte le grandi aree economiche, come ha evidenziato Paul de Grauwe dell'Università di Lovanio (Financial Times del 18 gennaio).
Secondo l'Ocse, la domanda interna reale della zona euro nel 2010 rimarrà al palo. In Germania è prevista una crescita dello 0,2%. Inoltre l'euro, dal momento della sua introduzione, nel 1999, in termini reali si è rafforzato più di tutte le altre principali valute. Per aggiungere al danno la beffa, la Grecia e altri paesi periferici hanno perso competitività all'interno dell'Eurozona. Per citare un dato, il costo unitario del lavoro è aumentato del 23% rispetto a quello tedesco, fra l'inizio del 2000 e il secondo trimestre del 2009. È un valore in linea con l'esperienza di altri paesi periferici.

Infine, anche se il risanamento dei conti pubblici riducesse gli spread dei titoli di stato greci rispetto ai bund tedeschi (un indicatore del rischio di default della Grecia), il beneficio per le finanze pubbliche e l'economia sarebbe contenuto. Certo, all'inizio di questa settimana lo spread greco rispetto ai bund era addirittura di 2,74 punti percentuali. Ma gli spread hanno cominciato a crescere solo da due anni a questa parte. Anche l'impatto dei tassi di interesse più bassi del settore pubblico sui rendimenti pagati dal settore privato probabilmente sarà abbastanza limitato.

Tenendo conto di questi vincoli stringenti, un risanamento dei conti pubblici di vaste dimensioni produrrà una recessione profonda, e questo di sicuro incrementerà il deficit strutturale. Ipotizziamo, ed è una stima prudente, che per ogni punto percentuale di risanamento vi siano 0,2 punti di deterioramento compensativo dei conti pubblici. A questo punto il risanamento strutturale necessario per ridurre il deficit effettivo al 3% del Pil rasenterebbe i 12 punti percentuali.

Il governo greco scoprirebbe che a ogni passo avanti che fa, scivola leggermente indietro. Finora la recessione in Grecia non ha colpito più di tanto, ma le cose sono destinate a cambiare. Il governo di Atene presto si troverà a fare i conti con una situazione disastrosa, sia nel settore pubblico che in quello privato, e senza leve da sfruttare.

I problemi della Grecia sono radicali, perché è l'unico, fra i paesi vulnerabili della zona euro, ad avere sia un forte disavanzo che un debito pubblico elevato. Altri paesi con grossi deficit di bilancio sono l'Irlanda (12,2% del Pil nel 2009) e la Spagna (9,6%). Tuttavia, mentre alla fine del 2009 in Grecia il debito pubblico netto era pari all'86% del Pil, secondo le stime dell'Ocse, in Irlanda e in Spagna non andava oltre, rispettivamente, il 25% e il 33%. L'Italia, da parte sua, con un indebitamento netto del 97% aveva un disavanzo di "appena" il 5,5%. Il Portogallo stava nel mezzo, con un debito netto del 56% e un deficit del 6,7%. La sfida che attende la Grecia, dunque, è più importante e più urgente che per gli altri paesi.

In un articolo pubblicato sul Financial Times (12 gennaio scorso), Desmond Lachman, dell'American Enterprise Institute, giungeva alla conclusione che la Grecia sarà costretta a lasciare l'euro. Simon Tilford, del Centre for European Reform di Londra, ha scritto (sempre sulle pagine del quotidiano inglese, il 15 gennaio) che invece la Grecia andrebbe salvata. Ci sono altre due possibilità: la Grecia stringe i denti e ce la fa; la Grecia semplicemente dichiara il default.

Qual è lo scenario più probabile? Non lo so. Ma il default non può essere una soluzione. A quel punto la Grecia sarebbe costretta a rientrare dal deficit nel pieno di una disfatta economica nazionale. Uscire dall'euro sarebbe una catastrofe, dal punto di vista politico. Inoltre, ognuna di queste due eventualità (e tanto più nel caso di tutte e due insieme), creerebbe un contagio letale per i paesi vulnerabili. Improvvisamente, l'impensabile diventerebbe plausibile. L'Eurozona a questo punto potrebbe trovarsi a dover fare i conti con un'ondata di crisi del debito pubblico e del settore finanziario, al cui confronto quello che è successo nel 2009 sembrerebbe una gita di piacere.

  CONTINUA ...»

20 gennaio 2010
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