Esiste una versione europea di Goldman Sachs, la banca onnipotente in grado d'influenzare la politica e di profittare di una crisi che ha contribuito a creare? Se c'è, il primo sospettato è a Francoforte.
L'ultimo indizio è venuto poche settimane fa. Alla fine di febbraio, il numero uno della Deutsche Bank, Josef Ackermann, era volato ad Atene a consigliare il governo greco nel pieno della crisi finanziaria che stava scuotendo l'euro. George Papandreou voleva sapere con quali strumenti era possibile finanziare il debito pubblico senza dover pagare tassi d'interesse punitivi. Ackermann aveva ben chiara la soluzione, aprire un cordone di sicurezza bancario attorno alle emissioni greche, un consorzio di banche private e pubbliche tedesche che la sua banca si sarebbe incaricata di organizzare e guidare e che avrebbe assicurato la concessione di un credito di circa 15 miliardi.
La sera di quel venerdì, dopo il colloquio con Papandreou, Ackermann aveva chiamato la cancelleria di Berlino, a lui ben nota, per parlare con Jens Weidmann, consigliere economico di Angela Merkel. Al giovane economista, Ackermann, nato in Svizzera 62 anni fa, aveva fatto una proposta temeraria: che cosa ne penserebbe Berlino di offrire una garanzia pubblica al consorzio dei finanziatori? Ackermann poteva contare su una consuetudine con i collaboratori della Merkel, costruita in mesi di riunioni riservate in cui la maggiore banca tedesca aveva svolto di fatto il ruolo di primo consigliere economico e finanziario del governo.
Questa volta la risposta di Weidmann fu gelida. Non se ne parla nemmeno, la proposta andava contro ogni regola europea, in particolare contro le disposizioni del mercato unico, e di fatto rappresentava l'ennesimo tentativo dei banchieri di Francoforte di scaricare sul contribuente tedesco i rischi di una crisi nata ed esplosa all'interno dei grattacieli di cristallo, sedi delle banche globali.
Il settimanale Der Spiegel descrive l'indignazione di Weidmann: «Allora glielo faccia subito lei il prestito ai greci».
Ma nonostante il no venuto dalla cancelleria, il giorno dopo il Financial Times, le cui fonti sono spesso vicine alle banche d'investimento, riportava come sicura la notizia della garanzia del governo tedesco. Un'altra manovra di disturbo, osservano irritati da Berlino, dove l'ipotesi di una garanzia pubblica era presa in considerazione, ma solo nel contesto di una soluzione europea.
L'analogia con Goldman Sachs non è casuale. Se la banca d'investimento Usa nel 2001 aveva organizzato la famosa operazione di swap con cui il governo di Atene aveva occultato parte del disavanzo pubblico, l'anno successivo la filiale londinese di Deutsche Bank, insieme al dipartimento sovereign di Eurohypo, aveva organizzato un altro controverso prestito ad Atene per l'acquisto di armamenti, il cui pagamento sarebbe stato rinviato al 2009 grazie a due swap offerti e venduti dalla banca di Ackermann, i cui uffici a Francoforte potrebbero essere sorvegliati con un semplice binocolo dalla Bundesbank, tanto poco distano in linea d'aria.
Visto da Washington, il rapporto tra Deutsche Bank e la politica ricorda quello tra Goldman e l'amministrazione. Pur senza la porta girevole attraverso cui banchieri diventano politici e viceversa. Deutsche Bank ha svolto per decenni, come minimo dai tempi di Abs, un ruolo di orientamento della politica economica tedesca. Il cambiamento del modello di credito, da banca di casa a banca d'investimento, ha anticipato la trasformazione della corporate governance tedesca e dello stesso sistema industriale. Il primo stimolo al "decentramento" delle decisioni che ha trasformato il sistema corporativo tedesco è venuto proprio dalla banca di Francoforte.
Ackermann era stato coinvolto dalla Merkel in particolare in una serie di incontri con i vertici dell'economia tedesca. Ma alla fine dello scorso anno il rapporto era degenerato: «Non è possibile - è sbottata Merkel - che quelli che ci hanno portato sul baratro ora pensino solo ai loro interessi». La cancelliera aveva cercato di mobilitare le imprese contro i banchieri che avevano tagliato le linee di credito e utilizzavano i finanziamenti a basso costo della Bce per fare profitti commerciando titoli. Ma le imprese avevano preferito mantenere buoni rapporti con le banche. Ackermann, da parte sua, non ha stima per i politici che, non senza ragione, accusa di non capire la crisi e di tardare nelle reazioni. Tuttavia a fine settembre 2008 aveva dovuto chiedere ad Angela Merkel, in una famosa telefonata a mezzanotte e 45, di salvare la Hypo real estate il cui fallimento avrebbe travolto anche le grandi banche tedesche. Merkel voleva che le banche contribuissero con 10 miliardi, Ackermann ne proponeva 7, chiusero a 8,5 come due negoziatori di pari grado.
Come Lloyd Blankfein, il capo di Goldman che paragona il suo lavoro a quello di Dio, anche Ackermann è incappato in una serie di dichiarazioni incaute rilevatrici di un senso di onnipotenza. Come Goldman, anche Deutsche nel 2009 ha puntato a ottenere gli stessi risultati (un rendimento del capitale del 25%) di prima della crisi, come se nulla fosse cambiato.
CONTINUA ...»