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Francesca Saccarola, 29 anni, ingegnere edile, dopo alcuni anni di lavoro come progettista ha seguito un master con il Cirps (Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile), di cui fanno parte tecnici e docenti di 11 università italiane, poi è partita per un progetto di cooperazione: «Nella regione di Iringa, in Tanzania, ho seguito il cantiere di un acquedotto per l'Ong italiana Acra - racconta Saccarola -. Il mio compito era quello di mediare tra i progettisti in Italia e i tecnici locali e facilitare la scelta di soluzioni adeguate. L'acquedotto, per lunghi tratti, si inerpicava in collina e il materiale - cemento, macchinari, tubature - andava tutto portato a spalla. È stata la mia prima esperienza di cantiere e mi ha arricchita enormemente sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista tecnico».
Nello stesso cantiere per Acra lavora Beppe Buscaglia, 47 anni, geometra con 15 anni di lavoro all'estero in grandi imprese edili italiane: «Confesso di avere imparato molto da un ingegnere meccanico tanzaniano con cui lavoro gomito a gomito - spiega Buscaglia -. Esiste un'arte dell'arrangiarsi, dell'inventare soluzioni tecniche geniali, che noi abbiamo perso». Si impara, poi, ad ascoltare e coinvolgere la popolazione: «Prima di iniziare un lavoro visitiamo sempre le comunità e facciamo in modo che lavorino con noi, perché domani possano gestire loro da soli l'impianto che costruiamo».
Anche gli architetti mettono le proprie competenze tecniche al servizio della cooperazione internazionale. «La progettazione nel sud del mondo è innanzitutto un esercizio di umiltà - sottolinea Laura Rapisarda, segretaria di "Architettura senza frontiere", associazione nata a Roma, oggi con affiliati in tutt'Italia -. Ci capita che bussino all'associazione architetti con grande entusiasmo, ma poca consapevolezza del ruolo che possiamo giocare nei paesi in via di sviluppo. Qualcuno immagina di poter progettare opere faraoniche. Ma i progetti devono calarsi nell'ambiente in cui andiamo, rispettare la tipologia delle architetture locali, per esempio la concezione degli spazi comuni e di quelli privati, che cambia di cultura in cultura. Sempre, poi, nella costruzione di qualsiasi opera, coinvolgiamo i locali, anche per permettere che acquisiscano nuove conoscenze tecniche».
Asf sta costruendo una scuola nel villaggio di Tete-Ngomba, in Congo, in collaborazione e per conto delle locali suore francescane. «Al cantiere partecipa la gente del villaggio - conclude Laura -. Abbiamo proposto loro di utilizzare mattoni in terra cruda, più resistenti di quelli prodotti tradizionalmente in loco. Speriamo che questa piccola acquisizione tecnologica possa servire alla comunità».
Un esercito di volontari per superare le emergenze