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L'Europa? Idra gioviale senza alcuna governance

di Tony Barber

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22 novembre 2009

In politica internazionale ci sono quattro o cinque leopardi, serpenti di varie specie e formiche che brulicano innumerevoli nella giungla. Idra gioviale dalle molte teste, l'Unione Europea pare intenzionata a distinguersi dal mucchio.

La nomina giovedì sera di Herman Van Rompuy, il primo ministro del Belgio, a primo presidente dell'Unione a tempo pieno, e della baronessa Catherine Ashton a capo della politica estera, rimette il ruolo e l'immagine globale dell'Unione Europea nelle mani di due personalità con quasi nessun esperienza di questioni internazionali di alto livello. Sono scelte che sembrano contraddire i discorsi, ripetuti per anni dai leader europei, sull'importanza di proiettare più efficacemente nel mondo l'influenza collettiva dell'Europa.

Nel caso di Lady Ashton, si è trattato di una scelta dell'ultimo minuto, suggerita da considerazioni sull'equilibrio politico tra i 27 paesi dell'Unione. Giovedì fino alle 17 ora di Bruxelles, non immaginava neppure di essere nominata. L'incarico le è stato attribuito soltanto perché la Gran Bretagna andava compensata per avere sacrificato le ambizioni presidenziali del suo ex primo ministro Tony Blair, e perché Lady Ashton aveva l'approvazione dei partiti socialisti che esigevano la politica estera per un membro della loro famiglia politica.

Tutto ciò non significa che il signor Van Rompuy e Lady Ashton siano privi di talento. Come ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, «Sono una di quelle persone convinte che le personalità si temprino sul lavoro». La signora Merkel ne è un buon esempio: figlia di un pastore luterano, si è formata nell'oscurità sotto il comunismo della Germania dell'Est e oggi governa il più grande paese europeo.

Ma le nomine fanno pensare che l'Europa non si sta adattando con la dovuta rapidità ai profondi cambiamenti dell'ordine mondiale che ne stanno erodendo spietatamente l'influenza. Non che l'Europa ignori il problema, tutt'altro. In settembre, quando il presidente della Commissione José Manuel Barroso presentava le sue linee guida per gli interventi della Commissione successiva, ebbe da dire questo:«Per l'Europa, è arrivato il momento della verità, di rispondere a una domanda decisiva. Vogliamo prendere la guida, forgiare la globalizzazione in base ai nostri valori e ai nostri interessi, o lasceremo ad altri l'iniziativa e accetteremo il risultato che essi avranno forgiato? Le alternative sono chiare, va compiuta una scelta netta. O gli europei accettano di affrontare insieme questa sfida,o scivoleremo nell'irrilevanza».

Storicamente, la diagnosi è la seguente. Tra il 1500 e il 1900 un'Europa sorgente domina il mondo, la Spagna, la Gran Bretagna e la Francia acquistano vasti imperi oltre-mare. Poi due guerre mondiali distruggono la sua supremazia e la spartiscono tra un Occidente a guida statunitense e un Oriente sotto controllo sovietico. Le guerre hanno mostrato la potenzialità letale del nazionalismo europeo e aperto la strada a quell'esperimento di sovranità congiunta che è rappresentato dall'Unione Europea.

Nel 1989, il crollo del comunismo ha fornito l'occasione imperdibile di seppellire per sempre le divisioni europee. Ma ora la globalizzazione sta spingendo il mondo verso la politica assai poco sentimentale delle Grandi Potenze, in cui l'Europa deve organizzarsi per evitare di essere spinta ai margini dal Brasile, dalla Cina, dall'India, dalla Russia, dagli Stati Uniti ecc. Il rimedio consiste nel trattato di Lisbona, un insieme di riforme che intendono rafforzare la coesione e accrescere l'influenza globale dell'Europa, nella presidenza dell'Unione a tempo pieno, in sostituzione del meccanismo sempre meno efficace delle presidenze a rotazione semestrale condivise tra gli stati membri, e nella nomina di un "supremo" della politica estera con maggiori poteri di quelli devoluti a Javier Solana, in carica dal 1999.

Mentre procedevano le discussioni su questi provvedimenti, divenne chiaro che a un responsabile politico grintoso la maggior parte dei governi preferivano un presidente di basso profilo, capace di costruire consenso, una preferenza espressa nella scelta di Herman Van Rompuy al posto di Tony Blair.

Tuttavia sembra quasi impossibile che il signor Van Rompuy tratti da pari a pari con il presidente americano Barack Obama o quello cinese Hu Jintao. Non solo ha scarsa esperienza e il quadro di riferimento del suo incarico è assai limitato, ma dovrà anche condividere il palcoscenico con José Manuel Barroso e Lady Ashton.

Lady Ashton, dal canto suo, dovrebbe essere in una posizione di maggior potere. Controllerà un budget multimiliardario e uno staff di migliaia di persone sparse per il mondo. Stando al trattato di Lisbona, «condurrà la comune politica estera e di sicurezza dell'Unione».

Ma quell'incarico s'accompagna al titolo di vice-presidente della Commissione, e quindi ci saranno occasioni in cui dipenderà da José Manuel Barroso. Nel trattato di Lisbona inoltre, la sua job description nasconde il fatto che la politica estera sarà comunque decisa all'unanimità dai 27 governi.

  CONTINUA ...»

22 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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