I l prossimo annuncio di un piano per il Sud è l'occasione per riflettere sui tanti errori che hanno impedito alle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno (anche le migliori) di cogliere risultati durevoli. Oggi appare decisiva una discussione sulle questioni di fondo e sui vincoli che hanno impedito una convergenza con il resto del paese che in termini di prodotto pro capite si è sostanzialmente interrotta trent'anni fa.
La situazione attuale è il risultato di ragioni storiche ed errori politici. Molte parti del Mezzogiorno non hanno vissuto fino in fondo la rivoluzione industriale che ha accompagnato la crescita del nostro paese dal secondo dopoguerra in poi; lo slancio industriale e il piano di infrastrutture del paese hanno toccato solo in parte le regioni meridionali.
Quando il sistema industriale nazionale ha reagito alle crisi e agli shock petroliferi degli anni 70 con la diffusione e crescita dei distretti produttivi, il Mezzogiorno è ancora una volta arrivato in ritardo con alcune, anche rilevanti, esperienze, che però oggi soffrono più del resto del paese il mutato scenario competitivo. Le politiche di sviluppo successive non sono state in grado di correggere gli squilibri sociali ed economici.
Nel nostro paese si è nel tempo costruito un modello duale che vede, con significative eccezioni, nel Centro-Nord una diffusa presenza di piccole e medie imprese manifatturiere e in molte parti del Sud un pervasivo e capillare sistema assistenziale. Bene ha fatto Guido Tabellini quando ha sottolineato (Il Sole 24 Ore del 17 novembre) che i tanti fallimenti delle politiche per il Sud trovano le loro ragioni nel fatto che sono stati utilizzati strumenti economici per affrontare problemi che riguardano la società e il funzionamento delle istituzioni.
Perché il problema principale risiede nella società meridionale, nel rapporto tra dimensione pubblica e mercato, nei meccanismi di consenso politico, nel funzionamento delle istituzioni statali e locali. L'ipertrofia e la pervasività della dimensione pubblica sono oggi uno dei più rilevanti vincoli allo sviluppo del Mezzogiorno, vincoli allo stesso tempo culturali ed economici.
Gli effetti culturali della grande crisi finanziaria ed economica internazionale rischiano di generare pericolose illusioni; le critiche, pur giuste, agli eccessi del mercato stanno generando uno statalismo di ritorno che se probabilmente nel resto del paese placa le paure e le incertezze di una parte della società italiana, nel Sud rischia di avere effetti disastrosi e di saldarsi con il vecchio e deteriore meridionalismo.
Per essere efficaci, le politiche per il Sud devono ridurre il ruolo della dimensione pubblica nella società e nella economia meridionale, diffondere e ampliare la cultura di mercato, eliminare rendite e intermediazioni parassitarie, restringere il perimetro del "pubblico imprenditore".
Allo stesso tempo occorre rafforzare la qualità dei servizi pubblici essenziali gestiti dallo stato, dall'istruzione alla giustizia civile, al controllo di legalità (dove significativi sono stati i successi conseguiti). Programmare e concentrare la spesa comunitaria, statale e regionale su poche e strategiche priorità, definire vincoli finanziari e standard di qualità per i servizi resi dalle regioni e dagli enti locali. A tutto ciò si sommano tre grandi questioni.
Questione sociale. Un tasso di disoccupazione strutturalmente più alto della media nazionale, un basso tasso di attività, livelli di povertà crescenti, alte percentuali di lavoro irregolare, una società immobile, cristallizzata nelle sue diseguaglianze, sono la plastica rappresentazione dell'emergenza sociale del Sud del nostro paese.
A questo si aggiunge il crescente degrado dei grandi quartieri periferici delle principali città meridionali: zone extra legem, consegnate alla "sovranità" delle mafie, dove viene meno la consapevolezza e l'esercizio dei più elementari diritti politici e di cittadinanza. Questi quartieri rappresentano oggi anche e soprattutto una grande e irrisolta questione democratica.
Questione criminale. Le mafie condizionano la vita civile ed economica di molte zone del Mezzogiorno ed estendono la loro influenza ad altre parti del paese. Si nutrono della debolezza e dell'indifferenza di una parte della società meridionale e delle ambiguità di un pezzo della classe politica.
Le mafie nel Mezzogiorno non si limitano ad imporre il pizzo o a spacciare droga; spesso svolgono la funzione di regolatori di alcuni mercati.
Sono proprio i mercati protetti e regolati il luogo dell'incontro tra mafia e impresa, il serbatoio che alimenta la zona grigia delle collusioni e delle convenienze.
Le mafie al Sud sono forti perché condividono con pezzi della società meridionale la stessa cultura della rendita e dell'intermediazione parassitaria.
L'importante azione di contrasto della magistratura e delle forze dell'ordine va sostenuta con ancora più forza dalla società meridionale, che da qualche tempo ha dato importanti segnali in questo senso.
CONTINUA ...»