Niente pietra, ma un giardino e un arcobaleno creato dalla luce e dall'acqua. Benedetta Tagliabue, architetto italiano 45enne che con lo scomparso Enric Miralles ha fondato nel 1991 a Barcellona lo studio Embt, immagina e disegna per Il Sole 24 Ore un memoriale per i caduti delle missioni di pace come oggetto etereo e irridescente. «Un monumento-arcobaleno - dice Tagliabue – dove i colori cambiano grazie al gioco d'acqua delle fontane e ai riflessi della luce. Immagino un luogo bello come un paradiso, un luogo pubblico per il benessere dei vivi. Meno stele e meno cimiteriale di quelli costruiti nella storia. Dev'essere sorprendente, bellissimo, commovente: per un attimo deve sembrare di non essere più lì».

Niente vendetta, molta natura per l'arcobaleno di Benedetta. «La vendetta è dolorosa per chi la fa. Nei luoghi naturali, invece, ci si commuove più facilmente: penso alle cascate, ai vulcani, alle montagne. A Barcellona c'è un cortile nella cattedrale, un luogo meraviglioso dove crescono alberi di palme e si sentono le oche starnazzare. La strana combinazione delle oche e della vegetazione tropicale trasporta in una realtà diversa, dove il mondo di ogni giorno è solo un sogno doloroso».

Se Daniel Libeskind ieri ha suggerito la soluzione di un grande muro di pietra che fermi il ricordo, un Requiem in Stone, Tagliabue preferisce uno spazio che trasforma la realtà con la luce. Come gli artisti James Turrel o Olafur Eliasson fanno con le loro opere.

Si ha l'impressione che, con il suo schizzo, l'architetto americano - autore del progetto originario di ricostruzione di Ground Zero - sia andato dritto al concetto di «caduti per la pace», mentre gli architetti italiani abbiano qualche imbarazzo in più nel riconoscere il tributo di gloria. Poniamo la questione a Tagliabue che risponde: «Non penso tanto a questi ragazzi morti come militari né come eroi, sono persone che hanno perso la vita per un ideale». Anche questo idealismo si può esprimere «con un segno leggero, dolce».

«Il concetto di monumento - dice ancora - è cambiato, spiega, gli architetti hanno una certa repulsione oggi verso i monumenti: prevale la natura, che entra nella vita di tutti i giorni». Meglio il verde della presenza imponente di un obelisco. «Anche l'arte è molto più leggera, concettuale, sottile: le cose significative si toccano con piccoli interventi, sorprendenti». Tagliabue rilancia fortemente il concetto di concorso internazionale di architettura.

Lo fa anche Mario Bellini, architetto e designer milanese, 74 anni, autore del progetto per il padiglione islamico del Louvre a Parigi. «Bene il concorso - dice - ma penso che bisognerebbe aprirlo alla multidisciplinarità, invitando architetti e artisti, ma anche urbanisti e paesaggisti». Lo spazio «molto più che la contemplazione» è al centro dell'idea di Bellini per il monumento ai caduti italiani. «Il gruppo scultoreo e la statua, il singolo oggetto si sono dimostrati inadeguati o insufficienti alla rappresentazione del dolore - dice Bellini - perché hanno una dimensione in meno nella capacità di narrare questi sentimenti».

Bellini pensa al Memorial per l'Olocausto di Peter Eisenman a Berlino e al Memorial per i caduti del Vietnam di Maya Lin a Washington. Ma anche al monumento inaugurato nel 2007 per ricordare l'attentato terroristico alla stazione di Atocha a Madrid che ha causato la morte di 191 persone nel 2004. Il cristallo cilindrico fa girare nelle pareti i messaggi scritti dai cittadini in memoria delle vittime per le loro famiglie, ma la trasparenza riporta all'interno anche i movimenti della gente nella stazione.

Il monumento non potrà non stare a Roma. «Per il concorso - dice Bellini - scriverei un bando tagliato in modo da favorire un linguaggio e un luogo che incoraggi una partecipazione multidisciplinare come quelle delle installazioni». Un punto su cui converge Tagliabue che allargherebbe la competizione a «professionisti dello spazio e delle emozioni come anche i registi del cinema».