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MEDIO ORIENTE / Su Israele il fuoco amico del Mossad

di David Gardner

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27 Febbraio 2010

Nel 2008 a Dubai ci fu un omicidio che fece scalpore, quello della starlette libanese Suzanne Tamim. Fu risolto grazie alla telecamera di sicurezza che aveva ripreso il colpevole. A Beirut o al Cairo probabilmente l'assassino l'avrebbe passata liscia. Dubai è una città aperta, ma che tiene ben aperti anche gli occhi.
Il Mossad, l'agenzia di spionaggio israeliana, non poteva certo non saperlo quando ha mandato a Dubai (com'è praticamente certo) un commando di 26 agenti per uccidere Mahmud al-Mabhuh, trafficante d'armi per conto dell'organizzazione islamista palestinese di Hamas, il 19 gennaio. Il commando del Mossad, usando identità rubate e passaporti di paesi alleati come la Gran Bretagna, l'Irlanda, la Francia e la Germania, è fuggito dal paese ma non è sfuggito alle telecamere a circuito chiuso, e sicuramente lo sapeva. Israele non conferma praticamente mai queste operazioni segrete, ma questa volta era come se volesse che il mondo lo venisse a sapere.
Ma se i funzionari israeliani riuscissero per un momento a contenere le loro smorfie di compiacimento, potrebbero fermarsi a ragionare sull'effettivo contributo di questa estroversione militarista alla sicurezza di Israele. Tanto per cominciare, nonostante la sua reputazione di audacia, dinamismo e spietata efficienza, il Mossad è tutt'altro che infallibile (a voler essere generosi). Ma quel che è più importante è che anche i successi operativi d'Israele finiscono sempre di più per ritorcerglisi contro, politicamente e a volte anche strategicamente.
Il Mossad è stato idolatrato per essere riuscito a scovare i terroristi di Settembre Nero che uccisero 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, ma anche quell'operazione si concluse con un fiasco, quando il commando israeliano inviato a Lillehammer nel luglio del 1973 uccise un cameriere marocchino scambiandolo per Ali Hassan Salameh, uno dei massimi collaboratori di Yasser Arafat. Molti degli agenti furono arrestati dalle autorità norvegesi, arrecando danni gravissimi alla rete del Mossad in tutta Europa. E mentre succedeva tutto questo, il Mossad non ebbe sentore dei preparativi per la guerra dello Yom Kippur: un fallimento clamoroso.
Un caso famosissimo è quello degli agenti del Mossad (che usavano passaporti canadesi) catturati ad Amman nel settembre del 1997 dopo il fallito tentativo di eliminare il dirigente di Hamas Khaled Meshal. Il pasticcione in quel caso fu Benjamin Netanyahu, allora (come adesso) a capo del governo di Tel Aviv, a cui il defunto re Hussein di Giordania, l'unico amico d'Israele nel mondo arabo, aveva appena trasmesso l'offerta di Hamas per una tregua trentennale. È evidente che questa predilezione israeliana per soluzioni esecutive e appaganti nell'immediato a problemi politici e geopolitici complessi rimane viva. Ma queste attività, complessivamente, rappresentano un vantaggio o uno svantaggio alla credibilità dello stato ebraico?
Meshal sopravvisse all'attentato diventando l'uomo più potente di Hamas, e più oltranzista della maggior parte dei suoi colleghi trucidati. Un risultato probabilmente analogo a quello che ottenne Israele eliminando a Tunisi, nel 1988, il leader dell'Olp Khalil al-Wazir (Abu Jihad), rimuovendo un grosso ostacolo per Yasser Arafat. O l'autogol che ha messo a segno Tel Aviv quando ha ucciso il capo di Hezbollah Abbas Mussawi nel 1992; il suo successore, l'astuto e carismatico Hassan Nasrallah, è diventato il nemico mortale d'Israele. Poco tempo dopo, Israele è riuscito addirittura a mettere in rete i suoi nemici, espellendo sommariamente 400 militanti di Hamas e dell'intifada e depositandoli al confine libanese. Come ha mestamente osservato un collaboratore del defunto Yitzhak Rabin, «tanto valeva mandarli all'università di Hezbollah».
Il Libano ricorre spesso sotto la voce "operazioni-boomerang" d'Israele. L'invasione del paese dei Cedri, nel 1982, viene riconosciuta perfino all'interno d'Israele come la prima guerra iniziata dallo stato ebraico. Certo, Ariel Sharon riuscì a cacciare dal Libano Arafat e l'Olp, anche se al prezzo di una macchia indelebile sulla reputazione di Israele, dopo l'assedio di Beirut ovest che provocò la morte di un numero di persone quasi doppio a quello dell'assedio di Sarajevo in un ventesimo del tempo.
Ma quell'invasione creò Hezbollah. «Quando entrammo in Libano – dice l'ex primo ministro e attuale ministro della Difesa Ehud Barak – Hezbollah non esisteva». Rabin, l'ex premier-soldato ucciso, si lamentava che l'invasione aveva «fatto uscire il genio dalla lampada». Le autorità israeliane ora raffigurano Hamas e Hezbollah come creature di un grandioso disegno iraniano. Ma anche se l'Iran non fosse esistito, questi due gruppi sarebbero esistiti, e Israele sa il perché. E quanto a boomerang, difficile trovarne uno più grosso di Hezbollah.
Il gruppo islamista sciita non solo ha costretto gli americani ad abbandonare Beirut con l'attentato del 1983, ma ha anche ricacciato con le armi l'esercito israeliano fino al confine, costringendolo a ritirarsi completamente dal paese nel 2000, e tutto questo, paradossalmente, perché ha potuto contare su un'intelligence più efficiente.
Al di là dei casi specifici, incoraggiare la percezione internazionale d'Israele come "stato canaglia" non può essere di alcun aiuto allo stato ebraico, specialmente dopo che è finito sul banco degli accusati per i crimini di guerra commessi a Gaza secondo il rapporto Goldstone, commissionato dalle Nazioni Unite. Israele deve la sua esistenza al sistema internazionale costruito intorno all'Onu, ma i suoi leader sembrano pensare che il diritto internazionale sia qualcosa che di fatto non esiste, o che se esiste semplicemente non è applicabile a loro. Finora hanno potuto farlo potendo contare sul veto degli Usa nel Consiglio di sicurezza, esercitato 29 volte per coprire il comportamento israeliano nei Territori Occupati e 11 volte per coprire le azioni israeliane in Libano.
  CONTINUA ...»

27 Febbraio 2010
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