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1979 L'ANNO NERO DELLA FINANZA / Un sacrificio per l'Italia di oggi

di Marco Onado

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27 settembre 2009

Trenta anni fa, tra marzo e luglio 1979 avvengono i due fatti più gravi della recente storia finanziaria italiana. I vertici della Banca d'Italia sono posti sotto accusa per un'iniziativa che si rivelerà destituita di ogni fondamento e pochi mesi dopo Ambrosoli viene barbaramente assassinato.
Il filo che lega quei tragici eventi è la ferma posizione di Ambrosoli, liquidatore delle banche di Sindona poste in liquidazione coatta nel settembre 1974. Egli, sostenuto dalla Banca d'Italia, si oppone con assoluto rigore ai diversi "piani di salvataggio" che Sindona propone da qualche anno, con l'assiduo favoreggiamento di uomini politici democristiani, degli ambienti della P2 (scoperta dai magistrati milanesi proprio in occasione delle indagini su Sindona), di ambienti mafiosi italiani e americani.

Ambrosoli boccia tutti questi piani, pur essendo perfettamente consapevole dei rischi che correva e aver cominciato a temere per la sua vita addirittura quattro anni prima che cominciassero le minacce, come ci spiega suo figlio Umberto nel bellissimo e struggente libro da poco pubblicato. La motivazione di Ambrosoli era tanto lineare quanto semplice: tutti i piani di salvataggio poggiavano su presupposti inaccettabili e profondamente in contrasto con elementari principi di legalità e correttezza istituzionale. La proposta più spudorata (ma non l'unica) era quella di cedere alle banche fallite il "profitto" realizzato dal consorzio di banche che era subentrato nelle passività della banca sindoniana. Si trattava di almeno 142 miliardi di lire (250 secondo altre stime) di utili derivanti dall'impiego in buoni ordinari del tesoro delle somme ottenute con anticipazioni all'1 per cento previste dal decreto ministeriale del 27 settembre 1974. In valore corrente si tratta di una somma ragguardevole, compresa fra circa 700 e 1200 milioni di euro.

Quella cifra era la compensazione per la perdita subita dalle banche subentrate nelle passività di Sindona ed era a sua volta il costo a carico del bilancio della Banca d'Italia e quindi della collettività. Trasferirlo alla banca fallita significava trasformare quello che avrebbe dovuto essere un debito della liquidazione verso la Banca d'Italia in un asset: un insulto alla ragioneria, prima ancora che alla morale. Eppure, per dare veste tecnica e voce politica a questo obbrobrio («il papocchietto» lo definirà Cuccia) si sono impegnate numerose menti giuridiche e si sono mosse schiere complete di uomini politici italiani.

Questo autentico tentativo di scippo a favore del bancarottiere (ed altri di minor entità, ma sempre inaccettabili in linea tecnica e di principio) avrebbero poi avuto una serie di effetti concatenati. Come per incanto, sarebbe apparso un valore "di avviamento" nelle banche di Sindona e dunque la banca sarebbe stata rimessa "in bonis". Il buco accertato da Ambrosoli (207 miliardi di lire, circa un miliardo di euro attuali) sarebbe sparito di colpo. E non solo: sarebbero rientrate nella disponibilità di Sindona pezzi consistenti del suo impero societario e nello stesso tempo si sarebbe avvalorata la tesi secondo cui la liquidazione della banca era stata decisa solo in chiave politica.

Un gigantesco colpo di spugna che avrebbe da un lato reso Sindona forse ancora più potente di quanto fosse nei suoi anni d'oro e avrebbe nello stesso tempo dato un fiero colpo alla credibilità delle istituzioni e della Banca d'Italia in particolare. Se questi progetti avessero avuto successo, si sarebbe posto nel nulla un atto di vigilanza importante come la liquidazione coatta amministrativa di una banca in cui si erano riscontrate gravissime irregolarità, ogni sorta di reato societario e gravi perdite patrimoniali. In questo caso, davvero sarebbe stato legittimo chiedersi nei confronti di quale fattispecie si sarebbe mai dovuto applicare la liquidazione coatta e quindi se non ci fosse una sorta di totale impunità per i banchieri italiani.

Vi era un disegno, neanche troppo mascherato, di far prevalere il sistema di potere che si era coagulato intorno a Sindona. Non a caso, in quei mesi circolavano voci che attribuivano al ministro del Tesoro Gaetano Stammati (uno dei sostenitori dei vari piani di salvataggio) il progetto di sostituire i vertici della Banca d'Italia e indicavano il nuovo governatore in Ferdinando Ventriglia, che aveva tentato ad ogni costo di salvare le banche di Sindona nel 1974, sotto la regia di Guido Carli.
Il senso della legalità e di rispetto delle istituzioni di Ambrosoli, insieme a quello di Baffi e Sarcinelli ha impedito che questo disegno scellerato arrivasse a compimento. Ma tutti hanno pagato prezzi altissimi, Ambrosoli addirittura con la vita. Le forze che essi hanno combattuto non sono certo state smantellate; dalle vicende della P2 a tante trame ancora oscure della vita nazionale recente hanno visto lo stesso torbido intreccio di alleanze. Ma la cittadella delle istituzioni finanziarie ha resistito e solo pochi anni dopo la Banca d'Italia guidata da Carlo Azeglio Ciampi ha saputo gestire la crisi, non meno grave, del Banco Ambrosiano con linearità e rigore.

  CONTINUA ...»

27 settembre 2009
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