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Se la finanza resta poker inevitabile la Crisi II

di Martin Wolf

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28 aprile 2010

Gli americani sono ossessionati dalla causa che la Sec (la Consob americana) ha intentato contro la Goldman Sachs. Finalmente, sperano in molti, i malfattori saranno puniti. Ma non è questo il punto. Il problema non è tanto prevenire cose non consentite, il problema sono le cose che sono consentite. Non voglio dire che dietro alla crisi finanziaria non ci sia una dose consistenti di comportamenti fraudolenti. Come scriveva John Kenneth Galbraith, la pianta del peculato fiorisce sempre in tempi di vacche grasse. Ma la vera catastrofe, come ho scritto la settimana scorsa, sono i rischi che prendono quei giocatori d'azzardo che lavorano legalmente dentro il sistema.

Il ruolo dei grandi istituti di credito costituisce chiaramente un problema: sono al tempo stesso il banco, quelli che puntano più forte al tavolo da gioco, gli agenti di altri giocatori e, se tutto va male, i beneficiari di responsabilità limitate e salvataggi pubblici impliciti ed espliciti. Questa è la ricetta sicura per una nuova catastrofe. Con il gold standard, i salvataggi non potevano andare oltre un certo livello. In un sistema a corso forzoso non c'è limite fino a quando non crolla il valore della moneta.

Che bisogna fare, allora? Partiamo dal minimo che si possa fare per rendere credibile una maggiore stabilità. Una soluzione ovvia è quella di tornare a un sistema bancario strettamente regolamentato, in regime di oligopolio, un meccanismo analogo a quello vigente in Canada. Ma è un metodo grossolano, ed è in contraddizione con la globalizzazione. La possibilità di accesso alla finanza straniera per i residenti e ai rischi esteri per le banche nazionali rende questi cartelli intrinsecamente instabili.
L'alternativa, quindi, sarebbe quella di cercare di rendere sicuro il sistema, che attualmente va più o meno a ruota libera. Per fare ciò, bisogna rendere più solide le banche e le connessioni fra le banche, migliorare la qualità dell'informazione e incentivare gli operatori a fare più attenzione ai rischi. Sette sono gli elementi principali.

Primo: alzare il livello del fabbisogno di capitale. Possiamo immaginare molti Stati nel mondo dove banche con gli attuali livelli di indebitamento sarebbero giudicate insolventi. Un rapporto di trenta a uno è una follia. Tre a uno sembra molto più sensato.

Secondo: le banche devono avere anche consistenti passività che possano essere convertite in azioni o trattate come tal, nel quadro di una procedura di bancarotta. È una condizione indispensabile per risolvere il problema delle banche che rappresentano un pericolo per il sistema. Quello che è successo dopo il fallimento della Lehman ha dimostrato che le normali procedure fallimentari non funzionano per gli istituti complessi.

Terzo: rendere il fabbisogno di capitale fortemente anticiclico.

Quarto: fare in modo che le banche detengano una cospicua scorta di attività, facilmente valutabili da parte dei prestatori di ultima istanza.

Quinto: modificare gli incentivi all'interno delle banche. I manager degli istituti di credito in fallimento dovrebbero ricevere i bonus sotto forma di azioni che possono vendere solo anni dopo il loro congedo. Se una misura simile renderà merce più rara i manager inclini al rischio, pazienza. Queste procedure vanno applicate anche agli altri dipendenti, altrimenti sarebbe troppo facile realizzare enormi guadagni con strategie di trading che hanno forti probabilità di andare in fumo.

Sesto: imporre requisiti molto più elevati sul piano del fabbisogno di capitale e del collaterale per gli scambi di derivati. Tutte le attività di questo genere dovrebbero essere trasferite alle Borse valori. Sì, tutto questo rallenterebbe l'innovazione, ma se i costi dell'innovazione vengono sostenuti dagli altri, è una misura sensata.

Settimo: migliorare drasticamente la qualità dell'informazione disponibile. È importante in particolare modificare il sistema di compenso delle agenzie di rating. Dal momento che forniscono un bene pubblico, devono essere finanziate attraverso una tassa generale.

Tutte queste misure renderebbero migliore il sistema? Sì. Ma il sistema finanziario rimarrebbe un marchingegno apocalittico. Ci sono tre problemi: il primo è che non esistono basi affidabili per stabilire quale sia il livello di capitale sufficiente. Il secondo è che, come osserva Andy Haldane della Banca d'Inghilterra, «non è Dio, ma l'uomo a determinare il rischio estremo all'interno del sistema finanziario»: è conveniente assumersi rischi quando i guadagni entrano nelle tasche di uno e le perdite ricadono sulle spalle di altri; più i regolatori cercando di rendere sicuro il sistema, più rischi il sistema può assumersi. Il terzo è che è facile creare il livello di rischio desiderato attraverso lo "shopping normativo": è esattamente quello che ha fatto il "sistema bancario ombra".
Che cos'altro si può tentare, allora? La risposta è una riforma strutturale. Tre sono le proposte sul tappeto.

La prima, di Paul Volcker, è vietare alla banche protette dal fallimento la possibilità di comprare e vendere titoli per proprio conto. Se la cosa si può fare (ma ne dubito), va fatta.

  CONTINUA ...»

28 aprile 2010
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