Giovedì scorso il presidente americano Barack Obama ha riunito i leader del partito democratico e i rivali repubblicani per un ultimo summit sulla riforma sanitaria. Sperava in un dialogo, «non dipingiamoci il volto come guerrieri», non trasformiamo la politica in un match sportivo e i cittadini in tifosi davanti a un derby in tv, ha ripetuto spesso.
Non ha funzionato, l'opposizione è rimasta blindata nel no, i democratici polarizzati nelle loro tribù, pro e contro l'aborto, pro e contro l'intervento dello stato. L'incapacità della politica di confrontarsi sui fatti, «ciascuno di noi – ammoniva il senatore Moynihan – ha diritto alle proprie opinioni, non ai propri fatti!», innesca lo scomposto avanzare del populismo. La destra dipinge i democratici come stalinisti che vogliono sovietizzare l'America, la sinistra colora i repubblicani da dottor Mengele con i poveri in ospedali lager.
Non è la prima volta che i toni rauchi prevalgono nella Repubblica bisecolare. Già nel 1964, sulla rivista Harper's, Richard Hofstadter deprecava «Lo stile paranoico della politica americana», in un saggio che fece epoca e le cui prime righe si adattano alla perfezione ai nostri giorni: «La politica americana è stata spesso un'arena per gente arrabbiata... c'è un grande vantaggio nell'animosità e nelle passioni di sparute minoranze... spesso lo stile paranoico ha affinità con le cause negative, ma nulla impedisce a programmi o richieste positive di essere proposte in stile paranoico...».
Quel che Hofstadter non poteva prevedere nel 1964 era l'accoppiata internet-talk show tv, due mezzi che danno a chi impugna il rancore, a destra come a sinistra, singolare forza.
Lo stile paranoico si diffonde più in fretta del raziocinio. Ricordate con quanta rapidità Usa ed Europa litigarono al tempo dell'attacco a Saddam nel 2003? Quando da noi si attaccavano i McDonald's e in America certi deputati versavano vino francese nelle fogne? La crisi finanziaria ha già portato i giornali tedeschi a pubblicare la Venere di Milo che fa gestacci, mentre i greci ricordano la sanguinosa occupazione nazista ad Atene. E ne vedremo di più macabre.
Ma nessun paese ha gusto, media, trasporto, teatro, entusiasmo e interpreti fantastici per lo stile paranoico come l'Italia. I populisti di destra e sinistra non tollerano ormai che nessuna idea fiorisca fuori dal loro carnevale di insulti, nomi storpiati e coprolalia. Spesso, non contenti di insultare e caricaturare i rivali, finiscono per sbranarsi fra di loro. «Al Club Cannibale – diceva compunto un vecchio diplomatico inglese – prima o poi i soci diventano lunch».
Verissimo. Ma se lo stile populista fa danni quando oppone i politici, diventa acido corrosivo per la democrazia se versato tra istituzioni. Per questo il monito del presidente Giorgio Napolitano, espresso ieri in una lettera al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Nicola Mancino, affonda le sue preoccupazioni non solo nelle caduche vicende della nostra politica, ma anche, forse soprattutto, in una deriva che degrada il discorso civile occidentale. «Rischiamo di alimentare nuovamente drastiche contrapposizioni e pericolose tensioni, non solo tra opposte parti politiche ma anche – come ho avuto modo di rilevare con comprensibile allarme – tra istituzioni, tra poteri e organi dello stato», scrive Napolitano concludendo che le indispensabili riforme non potranno mai fiorire in questo clima di batracomiomachia.
Né si tratta solo della ormai ventennale querelle politica-giustizia. Le riforme economiche che dovrebbero traghettarci fuori dalla crisi, l'innovazione di scuola, università, start up e ricerca, una riforma fiscale che sgravando chi già troppo paga faccia pagare chi elude ed evade, l'integrazione dei nuovi italiani, la ricostruzione delle infrastrutture in un miracolo economico del XXI secolo, come possono essere progettate, condivise e approvate in un ring?
È stata perciò particolarmente infelice la frase del premier Berlusconi contro «i talebani» della giustizia, per il decoro che sempre dovrebbe accompagnare le esternazioni tra poteri dello stato e tanto più che proprio in queste ore i veri Talebani facevano strage anche di nostri cittadini. Ogni giorno uno scandalo ne scaccia un altro dalle prime pagine. La corruzione minaccia tutti, dovremmo combatterla insieme, non corroderci a vicenda.
So che ribattere con serenità queste ragioni in Italia espone all'irrisione degli opposti pasdaran e ai loro insulti. So anche che, a ben guardare, questi estremismi non sono poi così "opposti": sono il partito antico e interessato dello status quo, quelli che spareranno sempre contro ogni cambiamento, vuoi perché «troppo», o perché «troppo poco», lasciando la maggioranza degli italiani raziocinanti nelle peste.
So anche che gli uomini di buona volontà di ogni credo possono unirsi contro lo stile paranoico nella politica italiana e lavorare a riforme in un clima non di giulebbe, ma di serietà. Dopo le elezioni regionali, che difficilmente saranno cruciali, ci saranno tre anni per ragionare e costruire insieme. Tre anni ancora di dura attraversata del deserto economico, con imprese, professionisti e lavoratori a faticare ogni giorno. Il governo, il premier, l'opposizione, la politica e tutte le istituzioni devono trovare un passo comune perché l'Italia non si ritrovi paese trascurabile nell'Unione Europea. E sono le ragioni che Napolitano avanzerà nella sua missione europea di questi giorni.
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