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Ci sono 45 associazioni iscritte all'elenco del comune - dagli scout alle Motociclette ardenti -, 11 cancellate, tra cui il Movimento reale. C'è la classica piazza centrale con il caffè Commercio contrapposto al bar Nazionale, una toponomastica bipartisan con via Saragat, piazza De Gasperi, viale Berlinguer. Una diga sul Rendina, ricostruita alla fine degli anni 90 costata 55 miliardi di vecchie lire, «buttati al vento», accusa l'agricoltore Canio Mancusi, perché mai entrata in funzione. Due zone artigianali complete e, appunto, lo scandalo della zona industriale.
La storia di questa zona industriale, una settantina di ettari, decisamente sproporzionata per una città come Lavello, risale a 30 anni fa, quando il 23 novembre 1980 il terremoto dell'Irpinia squassa anche parte della Basilicata.
«Nella fase di ricostruzione - ricorda Giuseppe Da Fata, proprietario della Imagine - sono state avviate sinergie con imprese dell'Emilia Romagna nel settore della corsetteria. Abbiamo cominciato a lavorare come contoterzisti, poi alcune imprese si sono affacciate autonomamente sul mercato finale».
Negli anni 90 nasce così un microdistretto della corsetteria, con una sessantina di imprese e quasi 800 addetti. Non poco per una città di 13mila abitanti: «Per sostenere il settore - aggiunge De Fata, che è anche presidente del distretto della corsetteria - abbiamo adottato la strada del patto territoriale, che metteva intorno a un tavolo imprese, banche, servizi ed enti locali. Un progetto comune che ci ha permesso di ottenere interessanti fondi pubblici». Una trentina di milioni per sostenere gli investimenti oltre a fondi regionali per le infrastrutture.
Alla fine degli anni 90 parte l'iter per realizzare la zona industriale denominata, in altisonante burocratese, Pals, Piano attrezzature livello superiore. Una settantina di ettari destinati ad attività industriale, con un progetto che nasce in partenza con numerose falle: per esempio non prevede marciapiedi e strade asfaltate, ignora la rete telefonica, dimentica lo svincolo sulla statale 93. Uno svincolo, autorizzato dall'Anas (ma rimasto lettera morta), che gli imprenditori ritengono indispensabile perché la statale, trafficata normalmente, si congestiona nelle ore dei cambi-turno alla Fiat.
Nel 2003 partono i lavori per il primo stralcio (vinti da una ditta di Eboli con un sostanzioso ribasso) grazie a un contributo regionale di 1,5 milioni di euro. Contemporaneamente il comune rilascia le concessioni edilizie alle imprese. E da qui comincia il pasticcio. La ditta di Eboli chiede forti revisioni dei prezzi per completare le opere, blocca i lavori, rifiuta ogni compromesso, infine fallisce. Nel frattempo gli imprenditori continuano a costruire gli stabilimenti.
Risultato: impianti completati in un'area senza urbanizzazioni. Nel 2005 vengono affidati i lavori per il secondo stralcio, grazie ad altri 2,4 milioni della regione. Appalto vinto da un'azienda leccese, sempre con forti ribassi, che a meno di un terzo dei lavori blocca tutto reclamando revisioni dei prezzi e rivalutazioni dei costi che farebbero lievitare il costo finale.
Quattro anni di contenziosi, tentativi di accordi, recriminazioni, polemiche di partito e problemi a non finire per le imprese che hanno avuto la malaugurata idea di insediarsi al Pals. Nel frattempo, il distretto della corsetteria è entrato in piena crisi. Tra delocalizzazioni dei grandi committenti del Nord e l'invasione della Cina.
«Oggi gli addetti del distretto sono scesi a 150 - spiega De Fata - e le prospettive non sono incoraggianti. Ci sono imprese che lavorano per marchi importanti, come Perla, altre che cercano di ampliare l'offerta con la biancheria intima, che ha un polo produttivo a Barletta. Ma Cina e Thailandia hanno costi che noi non ci possiamo permettere».
Per questo motivo poche aziende di corsetteria si sono insediate al Pals, nato per il distretto del settore. Raffaele Zefola è uno di questi: «Sono qui dal marzo 2005, mi ritengo fortunato perché ho l'elettricità e pure la fognatura. In compenso, in questi quasi cinque anni ho dovuto cambiare più volte gli ammortizzatori dell'auto perché queste "non-strade" sono un incubo. E sono cinque anni che ogni settimana prendo i sacchi della spazzatura e li porto alla discarica, perché qui il servizio non è previsto. Così come non è prevista la consegna della posta e non c'è alcun collegamento dell'autobus con il centro. Si può lavorare così?».
Un incubo in cui è impossibile trovare un responsabile, anche perché negli ultimi periodi le giunte comunali sono cambiate a ritmi annuali, c'è stato un commissario prefettizio per mesi e mesi e solo con le ultime elezioni, avvenute nel maggio 2008, si è arrivati a un minimo di continuità.
Nessun colpevole, anzi uno: la legge sugli appalti, che non garantisce committenti e tempi certi di realizzazione. A Lavello il classico gioco degli appalti è stato portato all'eccesso: forti ribassi per aggiudicarsi l'appalto, con l'immancabile seguito di altrettanti forti richieste di revisione dei prezzi per rientrare dalle spese.
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