Chi avesse sfogliato distrattamente le prime pagine dei giornali di questa settimana ha avuto l'impressione di viaggiare a ritroso nel tempo. In Europa il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel decidono come salvare la Grecia in un'intesa Parigi-Berlino, che viene poi comunicata – non senza qualche sufficienza – agli altri leader. Ricordate quando François Mitterrand, presidente Re, e il cancelliere Helmut Kohl, o prima di loro Giscard d'Estaing e Schmidt, si riunivano discretamente, Parigi chiedeva più espansione economica, Bonn (allora capitale di mezza Germania) imponeva rigore fiscale, gli altri europei attendevano l'esito del derby: e di solito, come allora nel calcio, prevalevano i tedeschi.
Venerdì, i giovani presidenti Barack Obama e Dmitrij Medvedev annunciano, dopo lunga telefonata su quello che in Guerra Fredda si chiamava Telefono Rosso, di aver concordato una riduzione del formidabile arsenale nucleare sopravvissuto ai giorni del terrore post 1945. Il patto, che sarà siglato l'8 aprile a Praga, prevede che anziché di 2.200 testate atomiche strategiche (capaci di colpire da un continente all'altro, le vere armi dell'Olocausto nucleare), Casa Bianca e Cremlino possano disporre solo di 1.550. I vettori nucleari vengono dimezzati da 1.600 a 800, le armi atomiche tattiche si fermano a 700. Ricordate gli interminabili giorni del gelido ministro sovietico Gromyko, di Kissinger, quando ogni accordo Salt, Start, sigle che si popolavano poi di numerali romani, I, II, come in una dinastia bizantina che logorò generazioni di ambasciatori, ma riuscì ad evitare l'inverno post guerra atomica?
Ai vertici del capitalismo italiano, stando ai titoli, analoga aria di déjà vu. Mediobanca, Generali, il salotto buono, vertici, controvertici, scatole cinesi, accordi felpati, intese affabili, azioni che si pesano e non si contano, come nei giorni eleganti dell'avvocato Agnelli e di Enrico Cuccia.
Verdetto finale, Cesare Geronzi va verso Trieste e la presidenza di Generali, Renato Pagliaro accede alla presidenza di Mediobanca, Alberto Nagel sarà presente in entrambe le piazze chiave della nostra economia.
Infine la politica, con la vigilia delle odierne e pesanti elezioni regionali: nulla di nuovo, il premier Berlusconi intento a trainare da solo la sua coalizione riottosa, l'opposizione che insegue, tutti a parlare di talk show dopo l'inane abolizione delle piazze mediatiche (che senso ha avuto?) e la serata Santoro, affollata da ragazzi online, ma sporcata dalla sessuofobia di un comico e da esagerazioni (che c'entra Mussolini?). Non mancano infine i ricordi tristi, i proiettili in busta, la polvere da sparo firmata da estremisti.
Tutto già visto allora? L'eterno ritorno che ci minacciava ironico il filosofo Nietzsche? Niente affatto. Sotto i titoli, dal mondo e dall'Italia, che sembrano guardare indietro, soffia forte il vento del futuro. Nessun leader, politico o finanziere, riuscirà a invertire l'ala della storia e ciascuna di queste storie, in apparenza così "passatiste", ci parla in modo formidabile di XXI secolo.Vediamo in breve perché.
L'accordo tra Obama e Medvedev ha due significati sotto traccia. Riporta Mosca come partner di Washington dopo il grande freddo degli anni di Bush e Putin, adombra di successione (difficile e faticosa) Medvedev contro zar Putin e serve a Obama per raddoppiare in campo estero il successo riforma sanitaria Usa. La vera incognita atomica di oggi, però, si chiama Iran e non Cremlino, Ahmadinejad e non Krusciov. È sull'Iran, che stressa Israele fino a farle prendere le posizioni estreme di questi giorni, che Usa ed Europa, e più tardi Russia e Cina, proveranno il vero disarmo del XXI secolo. Se Teheran entra nell'arsenale atomico l'intero Medio Oriente proverà ad armarsi, sauditi, egiziani e il supermarket delle testate, inaugurato dal Pakistan, andrà ai saldi per al Qaeda e i terroristi. Questa è la guerra fredda del 2010: quella del passato non tornerà.
Il patto a due, raziocinante e realista da veri eredi di Cartesio e Hegel, tra Sarkozy e Merkel non scioglie impasse e contraddizioni dell'Europa di oggi. Dopo tanto parlare, arbitro reale sarà il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea mugugna (lo ha spiegato bene Lorenzo Bini Smaghi) e nessuno parla più del Fondo monetario europeo, durato come prodotto meno della Nuova Coca Cola. È andata così, ma non ci sarà il bis. O l'Europa si dota di un sistema di comunicazione efficace, in politica ed economia, che sappia evitare la follia dei vertici assembleari dove giganti e lillipuziani si danno sulla voce impotenti, ma liquida anche il club snob Parigi-Berlino, o il sogno dei padri fondatori dell'Unione del XX secolo sarà perduto. Ridotto a condominio, dove i padroni di casa dell'attico decidono per chi vive al pianterreno e basta.
Così anche per la nostra finanza. È stato un bene - lo ha scritto ieri sul Sole Guido Gentili - che non si sia perduto tempo in una guerra tra condottieri, che lasciasse sul campo vittime e opportunità perdute, per poi concludersi con un risultato non dissimile da quello ottenuto venerdì. Ma chi si illudesse, ai vertici delle istituzioni finanziarie, nelle aziende, tra i grandi e piccoli risparmiatori, che l'Italia possa tornare a essere protetta da un codice "italiano" sarà in fretta ricondotto alla realtà. L'Italia è stata difesa nella crisi dalle sue virtù, imprenditoria diffusa, risparmio delle famiglie, scarso debito della gente comune, banche tradizionali. Nella ripresa però i suoi difetti, debito pubblico macigno, spesa pubblica e pubblica amministrazione antiquate, carenza di innovazione, ricerca, start up, finanziamento alle idee e premio a chi merita, peseranno nel creare poco lavoro e ricchezza. Bene dunque la pace al vertice, ma adesso un cambio di passo e di cultura è irrinviabile per chi non si accontentasse di restare elegante e forbito ultimo della classe in Europa.
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