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Rilanciamo la crescita e non solo il Pil

di Corrado Passera

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28 Marzo 2010

Sul tema della crescita, intesa in senso non puramente economico, ma anche come sviluppo e progresso sociale, in ambito europeo non si ragiona abbastanza e soprattutto non ci si impegna a sufficienza, a diversi livelli. Di crescita non si parla abbastanza, anche perché è difficile riattivarla quando si ferma – come succede oggi – e si cercano tutte le scuse possibili per cercare di prendere distanza dalle responsabilità.

La fuga dalla responsabilità a impegnarsi a riattivare la crescita è pervasiva, contagiosa, dilagante. La crescita finisce così per essere considerata come una variabile indipendente, sulla quale non si può influire. Un qualcosa che non dipende da noi, dalle nostre scelte ma da qualche altro fattore esterno, esogeno, come la congiuntura internazionale, l'allentamento dei vincoli europei o la ripresa del commercio internazionale. Cose lontane di cui nessuno si sente responsabile.

Tuttavia, adesso, governata e bloccata con successo la grande crisi finanziaria, occorre riattivare in tempi rapidi, in tutta Europa, un nuovo percorso sostenibile di crescita reale. La priorità numero uno nell'agenda della classe dirigente italiana, europea, globale deve essere quella di riavviare una fase di crescita sostenuta e sostenibile nel tempo. Una parte del mondo in realtà sta facendo la sua parte – Cina, India, Brasile e altri – ma non basta a compensare l'insufficiente capacità di reazione del mondo cosiddetto "sviluppato", che non sta facendo a sufficienza.

Come si misura la crescita oggi? È una misura adeguata? La crescita oggi è sostanzialmente misurata attraverso un indicatore riconosciuto internazionalmente che in italiano si chiama Pil (prodotto interno lordo) e in inglese Gdp (gross domestic product). È un numero che ha acquisito una forza straordinaria perché riduce la complessità dei fenomeni, permette confronti storici e orizzontali tra paesi diversi e aree del mondo diverse, ma contiene anche limiti gravi dei quali dobbiamo essere consci.

È un parametro importante e da mantenere, ma che dovremo integrare in vario modo se vorremo capire di più ed evitare di ripetere gli errori del passato. Tenendo soprattutto conto che nelle fasi storiche di grandi cambiamenti, eccedere in semplificazione fa perdere la capacità di comprendere i fenomeni in corso.

Al Pil si arriva secondo tre principali percorsi di calcolo che possiamo qui sommariamente riassumere:
- consumi più investimenti più esportazioni nette;
- somma dei valori aggiunti dei diversi comparti dell'economia;
- redditi da lavoro più redditi da capitale.
Con metodologie di aggregazione statistiche piuttosto articolate e complesse si arriva, per tutte e tre le strade, allo stesso numero magico.

Quali sono i problemi che stanno dietro il calcolo del Pil e che non possiamo ignorare se vogliamo avere un misuratore affidabile della crescita, anche a voler parlare solo di crescita economica?

Al di là delle numerosissime approssimazioni e stime nel calcolo che devono essere applicate per quantificare le diverse variabili, i principali difetti dell'attuale misura della componente economica della crescita attraverso il Pil sono i seguenti:
il Pil non dà valore al lavoro non retribuito, o meglio al tempo dedicato alla produzione di beni e servizi fuori dal circuito monetario dello scambio. Il lavoro dedicato all'autoproduzione, alla cura familiare di anziani e bambini, alla cura della casa, al volontariato non è valorizzato nel Pil; se lo fosse in un Paese come l'Italia potrebbe rappresentare anche un 50% di Pil aggiuntivo;

il Pil non tiene conto delle variazioni delle grandezze patrimoniali (risparmi, debiti, immobili). Il Pil non è assimilabile alla ricchezza nazionale: è un concetto di flusso, non di stock. Un aumento del Pil non coincide necessariamente con un aumento della ricchezza nazionale. La ricchezza del Paese può dunque risultare diminuita anche quando il Pil cresce o viceversa. Prendiamo per esempio il terremoto in Abruzzo. Pur avendo indiscutibilmente distrutto un importante patrimonio edilizio e infrastrutturale, il terremoto è stato registrato nelle statistiche del Pil soltanto per gli effetti negativi legati alla temporanea cessazione delle attività economiche locali e per gli effetti paradossalmente positivi legati alle cosiddette "spese difensive" che sono state occasionate per far fronte all'emergenza e alla mitigazione dei danni, spese che, assai più propriamente dovrebbero, invece, essere escluse da un indicatore di ricchezza. Un evento sicuramente catastrofico come un terremoto potrebbe quindi addirittura tradursi in un incremento complessivo del Pil;

il Pil non tiene conto del contenuto qualitativo di ciò che si produce: il valore aggiunto prodotto nell'economia di mercato non riesce a cogliere appieno e a misurare correttamente il fenomeno della crescente qualità incorporata nei prodotti (perché spesso non catturata dai prezzi di mercato). In secondo luogo risulta di difficile quantificazione il valore dei beni e la qualità dei servizi erogati - a prezzi non di mercato - dalla pubblica amministrazione (che infatti vengono valorizzati al costo di produzione);

  CONTINUA ...»

28 Marzo 2010
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