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TRAGEDIE ITALIANE / Colpe che non si cancellano

di Miguel Gotor

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29 Novembre 2009

In questi giorni è nelle sale il film La prima linea, liberamente tratto da un libro di Sergio Segio, tra i fondatori dell'omonima organizzazione armata, che seminò disperazione e morte tra il 1976 e il 1980.

Una delle prime scene della pellicola mostra la ricostruzione manierata di un corteo studentesco, uno fra i tanti che hanno percorso le strade italiane dal 1968 in poi; all'improvviso la regia stringe sui manifestanti schierati nella prima linea del corteo, parte la dissolvenza e compare il logo del gruppo terroristico, appunto Prima linea.

Da lì comincia la storia, la ricostruzione dell'ardimentosa fuga dal carcere di Rovigo di Susanna Ronconi, organizzata nel gennaio 1982 dal suo compagno Segio, che provocò la morte accidentale di un ignaro passante.

Questo primo stacco già riassume l'ideologia del film: il terrorismo italiano, quello di sinistra, deriva dal 1968, ossia dal movimento studentesco, il conflitto genera inevitabilmente la violenza armata, la contestazione porta dritti all'omicidio seriale, chi vuole cambiare l'Italia finisce per uccidere. Prendere o lasciare, ma da questa trappola reazionaria non si scappa perché è sempre breve e rapido da percorrere lo spazio che separa gli apocalittici dagli integrati.

All'inizio e alla fine della pellicola gli avvertiti sceneggiatori hanno inserito quello che nel linguaggio inquisitoriale del Seicento si sarebbe chiamato "scarico di coscienza", utile a fissare la temperatura media dell'opera, a renderla politicamente corretta.

Il protagonista Scamarcio-Segio viene così trasformato in un metallico Renzo Tramaglino dei nostri giorni, in grado però di alternare la mistica della sconfitta («Abbiamo scambiato il tramonto con l'alba», declama lui; «Non sogno mai che vinciamo», sussurra lei), l'esistenzialismo del bel gesto («Abbiamo fatto cose da pazzi»), la rivendicazione contrita, ma non troppo, del proprio incandescente vissuto, sospeso tra palingenesi rivoluzionaria e psicopatologia della vita quotidiana (amore/morte, sesso/pistole).

In fondo, mentre Scamarcio-Segio strizza i suoi occhioni blu al pubblico e sembra battersi il petto, ci fa e si fa la morale, il viso da bello e dannato sparato in primo piano: ho sbagliato, ma volevo cambiare il mondo, ho sbagliato perché volevo cambiare il mondo, ho sbagliato perché non ho cambiato il mondo, ma io almeno ci ho provato. E voi, invece, che chiaccherate tanto?

Sfugge nel film che a cercare di cambiare e rendere migliore il paese in quegli anni non fu quel manipolo di giovani della piccola e media borghesia italiana che scelsero la lotta armata dentro Prima linea, bensì le loro stesse vittime, ad esempio il magistrato Emilio Alessandrini trucidato da Segio e da Marco Donat Cattin, il figlio del noto politico democristiano, o il suo collega Guido Galli.

Per questa ragione l'opera, che sul piano della tecnica cinematografica e della qualità dei suoi attori è apprezzabile, appare insoddisfacente sotto il profilo culturale, politico e civile. Anzitutto perché le manca la libertà di un punto di vista di rottura, anche brutale, persino contro corrente, ma preferisce cercare l'italico giusto mezzo tra esibita conciliazione e dissimulata ambiguità.

Mancano la forza per raccontare una storia tragica e il nitore di assumersene sino in fondo la drammatica responsabilità, quella forza e quel nitore che invece si possono trovare in analoghe opere tedesche, dai tempi ormai lontani degli Anni di piombo della Margarethe von Trotta fino ai nostri giorni, quelli del film La banda Baader Meinhof.

In secondo luogo è insoddisfacente perché snoda un sottile, ma robusto filo (tanto insidioso perché quasi invisibile) di indulgenza che non rende la verità della storia di Prima linea che, rispetto ad altre organizzazioni terroristiche, è stata soprattutto una vicenda banditesca, le cui presunte ragioni e giustificazioni ideologiche sono state costruite dai suoi adepti soltanto a posteriori, negli anni lunghi della carcerazione.

Iniziano infatti a sparare per emulare le Br e porsi in concorrenza con esse; la liberazione della Ronconi viene compiuta quando i protagonisti sanno ormai di essere stati sconfitti, ma sono avanzate armi ed esplosivo e Segio vuole provare a liberare la sua morosa, modello Vallanzasca, semmai per provare a fuggire al caldo del Brasile, modello Cesare Battisti, senza pagare dazio; giustiziano un compagno che ha parlato con i carabinieri come fa la mafia con i suoi pentiti; uccidono Alessandrini pur essendo consapevoli che aveva scoperto la trama eversiva neo-fascista nella strage di piazza Fontana ed era un giudice progressista, ma aveva il torto di avere incominciato a indagare su di loro e dunque era diventato pericoloso.

Quasi senza darlo a vedere, si blandisce una presunta grandezza tragica che mai come in quelli di Prima linea è stata misera, volgare, piccola, in una parola sola squadristica perché in questo paese è esistito anche uno squadrismo di sinistra che non è solo una tecnica, ma un modo mentale di essere, prodotto di un impasto di antistatualismo, indifferentismo, cinismo, giustizialismo, estetismo, sovversivismo che appartiene alle fibre profonde del corpaccione italiano, a prescindere dalla sua collocazione ideologica.

  CONTINUA ...»

29 Novembre 2009
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