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I professionisti una net-élite che cambia l'economia

di Carlo Carboni

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I professionisti sono gli interpreti principali della modernità. Hanno aumentato il loro peso e protagonismo dal "secolo breve" fino ai giorni nostri. Sono risultati decisivi nelle svolte epocali della modernità; ad esempio, di quella industriale. L'ingegner Frederick W. Taylor, padre dello scientific management, non inventò certo il capitalismo industriale, ma l'applicazione delle sue teorie e metodiche dischiuse l'accesso a un'epoca di produzione e di consumo di massa dei manufatti industriali.

Anche le professioni esplose con la new economy sono diventate rapidamente interpreti e icone della nuova modernità che muove idee, soluzioni e risorse finanziarie in tempo reale, spinge progresso e sapere in campo genetico, biomedico, tecnologico. Per questo i professionisti sono cresciuti sempre in quantità e ruolo: come playmaker dello scambio tra scienza e tecnologia, tra sapere ed economia, tra sapere codificato e istituzioni. Hanno perciò conquistato posizioni in tutti i campi, dall'economia alla politica, alle istituzioni, dalla cultura alla tecnologia, dalla salute alla formazione, dalla comunicazione all'informazione e all'organizzazione della società civile.

In Italia, i professionisti sono l'unico gruppo socioeconomico che in questi ultimi quindici anni è riuscito a raddoppiare in consistenza (con i dirigenti sono oltre 2 milioni e 300mila). La crescita è dovuta soprattutto al potenziamento delle reti relazionali tra sapere ed economia, tra scienza e sua applicazione economica. Questo scenario fu per molti versi intuito e profetizzato già negli anni Trenta e Quaranta in «The modern corporation and private property» di Adolf Berle e Gardiner Means e «The managerial revolution» di James Burnham, per poi essere confermato nelle suggestive ipotesi di Alvin Gouldner («The future of intellectuals and the rise of the new class») alla soglia degli anni Ottanta.

Si è fatta avanti l'idea di una nuova classe emergente composta da manager, dirigenti, scienziati e tecnici, professionisti in campi nuovi e tradizionali - in senso lato, knowledge workers (Peter Drucker) - tutti dotati di un elevato livello di istruzione e, soprattutto, sempre più nodi indispensabili di connessione di reti istituzionali, sociali e di mercato. Questa nuova classe è apparsa come depositaria dell'applicazione di conoscenze cognitive, relazionali, metodologiche, tecnologiche. Come tale, ha alimentato una neoborghesia che ha scartato l'impiego per professare la sua vocazione, assumendo un grado maggiore di autonomia, responsabilità e rischio; una neoborghesia professionale che confida, più che sulla proprietà, su un sapere codificato che esalta le capabilities, cioè, secondo la nota definizione di Amartya Sen, le capacità dell'individuo moderno di trasformare le proprie conoscenze e abilità in risorse.

La controprova dell'importanza del ruolo sociale acquisito dai professionisti è che una loro consistente quota, in tutti i paesi del vecchio mondo, ha perforato non solo la borghesia, ma gli alti cerchi del potere, anche quelli più ristretti e potenti. La stessa pressione lobbistica - sia nella veste institutional che in quella corporativa - è alimentata dalle abilità professionali in campo relazionale e dello scambio di informazioni e sapere. Il 3° Rapporto Luiss-Amc del 2009, mostra che le net élite professionali (di reti economiche, politiche, scientifiche e mass mediali) sono la maggioranza del totale delle élite italiane: sono il 69% di quelle traenti e l'81% dei leader italiani. Del resto, il nuovo mondo globale richiede crescenti competenze e professionalità nei ruoli chiave dello scambio. Tutto ciò incoraggia l'ipotesi del professionismo e dei suoi vertici come "combinato composto" di una guida potenziale dello sviluppo, i cui assetti di potere saranno sempre meno garantiti dall'ereditarietà della proprietà privata e, forse, sempre più legati a quell'accesso di cui scrive Rifkin da alcuni anni.

Certo nella crisi economica uno dei temi più inquietanti è proprio il ruolo giocato dal moral hazard tra gli alti vertici professionali e manageriali e non si può negare che i professionisti ripropongano, al pari di altre élite, comportamenti cetuali o forme di nepotismo da crony capitalism, efficacemente descritte in un articolo sul Il Sole del 16.9. di Michele Ainis . Si pensi anche alla denuncia, evidente nelle inchieste sulle professioni de Il Sole 24 ore, a proposito dell'esistenza di barriere politico-corporative, erette dai Consigli degli Ordini professionali, che tendono a circoscrivere quote e perimetro dei professionismi.

Protagonisti della neomodernità
È certo che, negli ultimi due decenni, la modernità ha cambiato intonazione e paradigma proprio con l'emergere e l'insorgere di nuove professionalità e di nuove élite. Quando il mercato ha messo il turbo, la società si è sfarinata, le net élite hanno assunto un ruolo anticonformista di rilievo, determinando un cambiamento come sottolineò con efficacia Cristopher Lash negli anni Novanta (La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia).

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