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SIMBOLI E IDENTITÀ - I DUBBI DELL'EUROPA
Due estremismi in un burqa

di Riccardo Chiaberge

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30 gennaio 2010

«La proposta di legge anti-burqa dimostra solo l'imbarazzo della classe politica francese: si fustiga il burqa senza proibirlo in modo assoluto. Il burqa è rifiutato dall'opinione pubblica, non c'è dubbio, ma su quale base giuridica lo si può vietare, se non per ragioni di sicurezza in luoghi specifici (poste, stazioni, eccetera)? Tanto più che le donne in burqa, spesso convertite di fresco, portano questo abito volontariamente, in modo ostentato, per provare la loro fede. Come si può considerare segno di schiavismo o di subordinazione un atto di fede, anche se ci appare esibizionistico? È il paradosso del burqa, che dà una maggiore visibilità proprio a ciò che vuole nascondere: la donna devota! Alla stessa stregua, come ai tempi della Rivoluzione francese, dovremmo proibire gli ordini contemplativi cattolici, dove uomini e donne credenti si rinchiudono per libera scelta in nome della fede?»

Un po' come i vostri vicini di casa della Badia, vero professore? Olivier Roy, sessant'anni, ha il sorriso pacioso di un abate, in perfetta sintonia con lo spirito del luogo: il Centro "Robert Schuman" dell'Istituto universitario europeo è in un antico convento domenicano sulla collina di Fiesole, e forse è proprio Domenico il santo affrescato sulla porta della cella-ufficio. Fuori, il sole di gennaio accarezza gli ulivi con un presagio di primavera. Da anni, in libri come Il fallimento dell'Islam politico, Global Muslim o La santa ignoranza, l'orientalista e politologo francese esplora i paradossi di un mondo dove secolarizzazione e fondamentalismo religioso si rincorrono e si alimentano a vicenda. «Non c'è contraddizione - spiega Roy -. La secolarizzazione funziona, prosegue la sua marcia anche in paesi di tradizione cattolica come l'Italia o la Spagna. Ma secolarizzazione non significa per forza laicità alla francese, cioè esclusione del fatto religioso dalla sfera pubblica. In una società secolarizzata, la religione non scompare: semmai si isola, e perde ogni legame con le proprie radici culturali. E in questo modo diventa più visibile e più intensa. La gente che oggi si accosta alla religione lo fa per cercare non una cultura, ma un'esperienza spirituale e/o un'identità, l'appartenenza a una comunità. Si entra in una setta, in una chiesa evangelica, non perché si è nati in un quartiere ma perché ci si identifica in un gruppo. Le stesse parrocchie cattoliche, almeno in Francia, non sono più entità territoriali ma comunità di fede. Ci sono movimenti, come Comunione e Liberazione in Italia, che esigono un'adesione totale e al tempo stesso diffidano del ritorno al politico. Si battono per i loro obiettivi, contro l'aborto o la fecondazione assistita, ma non vogliono una nuova Democrazia cristiana. Troppa politica per loro significa laicizzarsi, perdere l'essenziale del religioso. Su un piano diverso, anche i musulmani salafiti respingono l'idea di uno stato islamico, che rischia di annacquare la purezza della fede».

Ma è un altro lo spettro che si aggira per l'Europa di oggi, quello che campeggiava nei manifesti per il referendum contro i minareti in Svizzera: uno spettro femminile senza volto. Il burqa, appunto, è diventato il simbolo di un'alterità inquietante, che non si lascia omologare. Tra banlieue e Londonistan, la via francese dell'integrazione laica e quella del multiculturalismo all'inglese sono entrambe naufragate... «Proprio così - annuisce Roy -. Perché nessuno dei due ha capito che è saltato il nesso tra religione e cultura. In Francia, essere cittadino della République significa confinare la religione nel privato. Per gli inglesi, multiculturalismo e multiconfessionalismo sono la stessa cosa. Chi è musulmano è straniero per definizione. Questa identificazione, come ho detto, non regge più. Molti immigrati di seconda generazione dicono: io sono francese, e però sono anche musulmano. Non arabo! O viceversa: sono arabo, ma non musulmano. Ha sollevato un putiferio il sindaco di Marsiglia, Jean-Claude Gaudin, che dopo l'incontro di calcio Algeria-Egitto ha commentato: «Abbiamo visto 20mila musulmani invadere le strade della città, e nessuna bandiera francese!». E i tifosi, giustamente, gli hanno replicato: ma noi festeggiavamo come algerini, non come islamici!».

Il presidente Sarkozy aveva lanciato a suo tempo lo slogan della «laicità positiva»: un maggiore rispetto e attenzione al fatto religioso nella vita pubblica, inclusi i simboli come il velo. Ma, secondo Roy, ha fatto rapidamente macchina indietro: «Ora sta riprendendo tutte le idee della destra classica: rafforzamento dello Stato, diffidenza verso l'Islam, discorsi contro l'immigrazione, difesa dell'identità francese. Credo si tratti di puro calcolo politico. Ha capito che quella linea non gli faceva guadagnare consensi né a sinistra né a destra. La sinistra in Francia è tradizionalmente molto laica. E quanto alla destra, resta ancorata all'identità cristiana, la componente liberale è minoritaria».

  CONTINUA ...»

30 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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