Tra gli insegnamenti della crisi finanziaria ed economica dell'ultimo biennio vi è anche quello dell'evidente inadeguatezza delle misure di protezione dei consumatori e dei risparmiatori. Quanto accaduto in molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, infatti, è dipeso non soltanto dalla fisiologica ciclicità dei mercati e dall'istintivo opportunismo degli operatori economici, ma anche da fallimenti palesi della regolazione nella tutela degli interessi affidati alle cure delle autorità pubbliche.
È significativo, in tal senso, che il White Paper on Financial Regulatory Reform dell'amministrazione Obama abbia, tra le altre proposte, suggerito la creazione della Consumer Financial Protection Agency: ciò proprio nel presupposto che le autorità esistenti, prima fra tutte la Federal Reserve e la Securities Exchange Commission, abbiano fallito nell'obiettivo di tutelare i consumatori.
Finalità di questa nuova Agenzia dovrebbe essere quella d'identificare i meccanismi di tutela minimi, sia in termini di trasparenza, sia con riguardo al contenuto delle clausole contrattuali. La proposta non ha, però, mancato di suscitare aspre critiche, atteso che la nuova autorità verrebbe a sovrapporsi con il ruolo assegnato ad altri regolatori, con il rischio, da un lato, di aumentare la complessità dei processi decisionali pubblici e, dall'altro, d'innalzare i costi dei prodotti e dei servizi finanziari, come le carte di credito e i mutui.
Anche per l'ordinamento italiano è opportuno cogliere l'occasione della crisi economica per verificare se la tutela del consumatore sia adeguata. Il problema si pone non soltanto per i mercati finanziari, dove i risparmiatori hanno almeno potuto beneficiare di una più efficace tutela sistemica, ma nei più diversi settori economici.
La riflessione può muovere dalla constatazione che l'assetto istituzionale della tutela del consumatore: e si è sviluppato per stratificazioni successive e non è frutto di un disegno organico e coerente; r non è ispirato a una chiara ripartizione di competenze tra il ruolo della politica e quello dell'autorità di regolazione del mercato; t presenta evidenti sovrapposizioni, che generano conflitti nelle competenze delle autorità indipendenti; u propone modelli di tutela tra loro incoerenti; i non opera un adeguato coordinamento tra i poteri regolatori di tipo amministrativo e le forme di tutela giurisdizionale.
Sul piano concettuale bisogna tener presente che la tutela del consumatore vuole risolvere problemi inerenti all'asimmetria informativa, alla generazione di costi transattivi, ai limiti cognitivi e alla razionalità limitata della persona fisica che conclude contratti estranei alla propria attività professionale. In questo senso, si protegge il consumatore favorendo l'assunzione di sue corrette scelte di mercato. Non diversamente dalla disciplina antitrust, dunque, il diritto dei consumatori mira a garantire il dinamismo concorrenziale e la capacità del mercato di promuovere proposte innovative di prodotti e servizi.
Questo obiettivo, tuttavia, non si realizza sia quando la tutela è insufficiente, sia quando, all'opposto, si registra un eccesso di protezione o manca il coordinamento tra i regolatori a ciò preposti. In questi ultimi casi, infatti, ben lungi dal promuovere l'interesse del consumatore, si aumentano inopportunamente i costi amministrativi delle imprese e si riduce conseguentemente il livello di produzione di beni e servizi pubblici.
Si tratta di un problema chiaramente emerso nel parere del Consiglio di stato (3999/2008) quanto alla ripartizione di competenze tra Consob e Antitrust, dove è chiaramente affermato che la duplicazione della tutela «oltre a contraddire i presupposti della funzione di vigilanza e regolazione, sarebbe causa d'incoerenze, quando non di turbative, rispetto alla naturale autodeterminazione dei soggetti del mercato».
È dunque evidente che affidare la tutela del medesimo interesse a più soggetti istituzionali produce incertezza negli operatori e genera il rischio d'impropri arbitraggi regolamentari. La soluzione a questo genere di problemi, d'altra parte, non può risiedere nel fatto che sia il potere politico, tramite l'intervento diretto del legislatore, a dettare con una norma imperativa il contenuto del rapporto contrattuale.
Ciò infatti finirebbe inevitabilmente per pregiudicare l'interesse del consumatore nel medio periodo, in quanto limita l'innovazione delle proposte contrattuali e rende meno concorrenziale il mercato. Bisogna invece pensare al completamento del quadro regolatorio, eliminando i vuoti di tutela oggi esistenti in molti settori strategici e, nel contempo, alla sua semplificazione, attraverso misure di concentrazione delle competenze o di coordinamento nel loro esercizio.
Lo stesso può dirsi in relazione ai rapporti tra la funzione regolatoria delle autorità indipendenti e le tutele giurisdizionali. Nel caso dell'azione inibitoria esercitata dalle associazioni dei consumatori, oppure in quello dell'azione collettiva risarcitoria in cui l'attore si fa carico di rappresentare la classe di tutti i soggetti potenzialmente danneggiati, l'effetto che si vuole realizzare è di disciplinare il comportamento delle imprese, imponendo loro di considerare gli effetti aggregati del pregiudizio subito dai consumatori.
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