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IL FUTURO DEI MEDIA
Bentornata Internet primo amore di libertà

di Gianni Riotta

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31 gennaio 2010

L'amore - quando è vero amore - dura per sempre. Ed è quindi bastato che accennassi sul Sole alla mia amarezza perché la cara, vecchia internet sta smarrendo la sua identità tra microblog petulanti e l'onnipresenza di Google e Wikipedia perché si accendesse un dibattito vivacissimo su giornali, rete e tv, così ricco di idee e umori, da rappacificarmi con il web e ridarmi speranze e entusiasmo.

Sarebbe ora impossibile ricordare tutti gli interventi, dai saggi eccellenti di Zambardino e Rampini su Repubblica, a Rocca del Foglio, Cotroneo su l'Unità, fino al talk show di Lilli Gruber dove l'intelligente blogger Zoro e il guru Negroponte han ragionato del tema, fino alle nostre firme qui sul Sole e alla chiusura del cerchio di Carlo De Benedetti: internet non può essere una zona di guerra dove pirati e lobbies economiche depredano insieme l'informazione libera.

Son presto avvizzite le erbacce dell'intolleranza, «vogliono regolare la rete!», «vogliono dare in appalto il web ai ricchi!». È vero il contrario, come scrive il pioniere della realtà virtuale Jaron Lanier: se il web finisce palude di rancore anonimo e monopolio di pochi motori di ricerca che uccidono il diritto di parola, l'utopia di libertà che abbiamo sognato per tanti anni online marcirà in incubo. La storia del XX secolo è piena di meravigliosi ideali conclusi dietro il filo spinato, e dobbiamo impedire – nemmeno il più ingenuo degli hackers o il più bonario dei bloggers può non condividere questo obbligo morale – che la tragedia si ripeta online.

L'obiezione più radicale in difesa del disordine internet viene da Evan Williams, il fondatore di Twitter: «Tutto sta nel dare alle persone più potere per fare quello che intendono fare». Williams è imprenditore di genio ma ingenuo filosofo della comunicazione, l'Homo twittericus non è solo dotato di virtù, ma come tutti gli Homo Sapiens vive anche di violenza, impulsi negativi, intolleranze.

Dare alle tribù online "potere" senza regole condivise non porterà alla felice Città del Sole, ma alla legge del più forte, dove le grandi lobby, monopolistiche o statali, domineranno e ai piccoli non resterà che la faida, unirsi in quella che Lanier, con Andrea Romano, Miguel Gotor, Michele Ainis, John Tierney, definiscono "sindrome della tribù", credere solo a se stessi e ai propri fedeli e ridurre a nemici tutti gli altri.

Come allora distinguere - secondo l'antico precetto di Giovanni, l'Evangelista dell'Apocalisse -, «le tenebre dalla luce»? Come cercare la «verità che ci renderà liberi»? La risposta di Williams, tra le migliaia che i lettori ci hanno inviato via web, le decine di blog che hanno interloquito - vedi Anna Masera de La Stampa e Luca Sofri -, e le migliaia di rimandi via Facebook, Twitter e gli altri social network, sostiene: «Anche su internet non è difficile distinguere la verità dalle frottole... è normale che su internet circolino molte voci, molti "sentito dire", ma altrettanto rapidamente emergono le fonti attendibili, perché col passare del tempo la reputazione conta».

Attenzione al punto di Williams: a discriminare vero e falso in Rete sarà la «reputazione», il canone si sarebbe detto un tempo. Operazione già non più facile, ma ancora possibile, se chi scrive è un giornalista, un autore con referenze, uno studioso e non un ciarlatano, la sua «reputazione» è certificata e Williams si tranquillizza: l'uccellino di Twitter cinguetta felice becchettando temi validi.

Affascinati dal nuovo mezzo e ignari dei contenuti, Williams e i suoi seguaci non vedono però quanto precario sia il loro ragionamento. Esso si fonda infatti sulla situazione effimera di oggi, dove vecchi media e nuovi media coesistono, passato e presente insieme. Noi possiamo "controllare" quella che Williams chiama «reputazione» di una fonte dal web alla carta stampata, e infatti, come ricordano i nostri Luca De Biase e Franco Sarcina, Google e Twitter basano sui commenti dei quotidiani i loro dibattiti.

E domani? Domani quando - come accadrà e lo sappiamo da anni - tutto il nostro libero dibattito democratico, politico, la nostra economia, la cultura, le opinioni, l'istruzione, la nostra vita intera di cittadini liberi, saranno online, chi e come certificherà la "reputazione" delle fonti autentiche? Una minoranza sparuta di luddisti irride, che importa saremo tutti alla pari e meglio così. Li si potrebbe ignorare (augurando loro magari di farsi trapanare il dente del giudizio da un dentista che ha imparato smanettando sul web...) se anche questo falso ugualitarismo non avesse un precedente sinistro nel Novecento, la Rivoluzione culturale cinese, che disprezzava intellettuali, esperti, scienziati, medici, economisti, le elites, mandando tutti con la vanga nei campi, mentre le università e i luoghi di ricerca erano invasi da propagandisti pieni di sé. C'è voluto il coraggio di Deng Xiao Ping e il lavoro di due generazioni di cinesi per recuperare i danni di quella follia. Non replichiamola online.

  CONTINUA ...»

31 gennaio 2010
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