A Parigi dicono che a chi gli chiede come stia, lui risponda con un generico "moyen" . Insomma, così così. Essere messi in pensione dopo 37 anni di Generali non deve essere facile. Anche se lui, Antoine Bernheim, rimane combattivo e pensa sicuramente a che cosa fare, dopo.
Il presidente, 12 anni ai massimi vertici della compagnia triestina (un primo mandato di 8 anni, una pausa e poi l'ultimo mandato di 4), in questi giorni starebbe molto sulle sue. Certo pervaso da molta amarezza, ma con la consapevolezza di avere svolto un buon lavoro, soprattutto per quanto riguarda l'internazionalizzazione dell'azienda e il suo consolidamento patrimoniale e borsistico.
Gli sarebbe probabilmente piaciuto fare di più se, come lui ha più volte domandato nel recente passato, gli azionisti gli avessero dato i mezzi per aumentare il capitale dell'azienda e quindi le munizioni per muoversi con maggiore agilità a fronte di una concorrenza sempre più agguerrita. Il bilancio rimane comunque largamente positivo e questo, alla fine, è quello che conta quando, soprattutto da stranieri, ci si deve muovere tra Parigi, Trieste, Milano e Roma, mantenendo intatti i fragili equilibri tra i soci e respingendo gli attacchi di chi, di volta in volta, chiedeva le sue dimissioni.
Ma, si sa, Bernheim ha difeso con tutta la sua forza l'italianità delle Generali, riuscendoci. Un presidente super partes, che ha tessuto con abilità le relazioni che contano, ha gestito con intelligenza le situazioni più disparate e ha ridato vivacità a una "bella addormentata". In questo, riferiscono ambienti finanziari parigini e milanesi, Bernheim è stato un maestro. Tanto che la sua forza, nella sua lunga carriera di banchiere d'affari (ha costruito le fortune di importanti imprenditori come Bolloré o Arnault) sarebbe sempre stata quella di rapporti professionali e di non pretendere mai alcuna riconoscenza, perché, come lo stesso ha riferito in passato, questa non apparterrebbe «alla sfera degli uomini, ma solo a quella dei cani».
Il vero problema di Bernheim non sarebbe tanto quello di poter continuare in Generali, quanto quello di restare occupato. «Non cerco lavoro», pare abbia detto più volte, «ma mi piace lavorare». Difficile dire se la sua avventura italiana continuerà o meno, nelle assicurazioni o nella finanza, accanto ad amici banchieri. Si parla di Banca Leonardo, ma gli interessati smentiscono. Certo la sua esperienza è preziosa e potrebbe ancora fare comodo a molti. Del resto come non ricordare che Bernheim è stato il protagonista, quando era in Lazard, delle principali operazioni finanziarie europee del dopoguerra. Lavorando accanto a banchieri mitici come Meyer o Cuccia, in qualità di consigliere di Mediobanca. (Mi.C.)
Investitura per Pagliaro dal patto di Mediobanca