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La miccia accesa dei mutui Usa

di Mario Margiocco

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31 ottobre 2009

Solo le bolle di sapone scoppiano senza fare male. E quella del mercato immobiliare americano non è stata una bolla di sapone, come ricordano Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart nel loro recentissimo libro sulle crisi finanziarie. Dal '96 al 2006 il prezzo delle case è aumentato in America del 92%, più di tre volte l'aumento reale del 26% accumulato in oltre un secolo, tra il 1890 e il 1996. (This time is different, Princeton University press, 2009, pagg. 207). È stata un'oscillazione di proporzioni inaudite. Con la benedizione della Federal reserve a suo tempo. Scoppiata la bolla, in scacco c'è tutto il mercato bancario americano, dove i primi cinque istituti controllano il 97% dei 200mila miliardi in valore nozionale di derivati detenuti negli Usa, in parte notevole legati all'immobiliare privato e ai suoi circa 11mila miliardi di mutui. Anche molte banche europee hanno un destino legato alla casetta nel viale alberato di Palo Alto.
La spinta distruttiva dei mutui subprime, concessi a suo tempo a chi dava garanzie non ottimali, perché così voleva la politica e la bramosia di commissioni, è valutata a circa 500 miliardi di dollari e in gran parte ha esaurito i suoi effetti nefasti. Quella cifra è andata, o sta andando, bruciata. I subprime sono stati il detonatore, non la causa vera, della crisi finanziaria del 2007-2009, dovuta al deficit di regole e all'eccesso di debito, subprime e non, immobiliare e non, e che va ben oltre le dimensioni totali dei mutui di questo tipo concessi dal 2000 al 2007 (1.300 miliardi circa). Com'è noto, l'orgia dei mutui, e la facilità nel concederli, è frutto della cartolarizzazione, degli Mbs (Mortgage backed securities) e dei Cdo (Collateralizad debt obligations), della possibilità cioè di rivendere subito il mutuo stesso, specialità di Wall Street, trasformato in derivati.
Ma non ci sono solo i subprime. Altre categorie di mutui a tasso variabile, gli alt-a e gli option-arm, arrivano a circa 1.400 miliardi, possono ora generare insolvenze per circa 600-700 miliardi (si veda Il Sole 24 Ore del 12 aprile) e stanno incominciando da alcuni mesi a mordere. Come per i subprime, si tratta quasi sempre di mutui con rivalutazione delle rate dopo alcuni anni. Il momento della verità arriva con la seconda tranche delle rate, nettamente più alta in genere. E poiché si sa quante scadenze arrivano giorno per giorno, si può tracciare la curva del rischio, che solo nel 2012 si abbatterà (si veda il grafico).
In più, la disoccupazione sta portando a un aumento delle insolvenze anche fra i mutui tradizionali, anche a quelli a tasso fisso. E sarà l'andamento del mercato immobiliare, che ha perso finora oltre il 30% dai picchi di tre anni fa, e del mercato occupazionale, a decidere fino a che punto la morsa sarà dolorosa. Washington ha un programma per aiutare i mutuatari in difficoltà. Ma finora ha aiutato più che altro le banche.
Su un patrimonio abitativo totale di 125 milioni di edifici, 75milioni sono di proprietà e di questi circa il 68%, cioè circa 52 milioni, ha un mutuo. La perdita di valore delle abitazioni è stata in tre anni del 30% mediamente, anche se esistono forti differenze fra stato e stato, e potrebbe aumentare. Se arrivasse al 40%, indicava ad agosto uno studio di Deutsche Bank convinto che potrebbe sfiorare il 45%, metà dei titolari di mutuo, cioè 26 milioni di famiglie, avrebbe il valore della casa inferiore a quello del mutuo. In questi casi, continuare a pagare implica uno sforzo psicologico, oltre che economico. E poiché spesso non c'è stato anticipo cash, se non irrisorio, la cosa più facile è restituire la casa e andarsene, cosa possibile con le norme americane in quasi tutti gli stati. Anche con scenari meno severi, il Center for responsible lending, un centro d'analisi dalla parte del cittadino, prevede entro il 2004 circa 13 milioni di pignoramenti, con una fortissima escalation. Tra il luglio 2007 e l'agosto 2009 le case pignorate sono state 1,8 milioni e le procedure avviate 5,2 milioni. Siamo già ora a quattro volte la media storica.
«Il problema è che le regole attuali non incoraggiano le banche né a modificare i termini del prestito né a pignorare, cose che entrambe consentirebbero di stabilire il valore di realizzo del mutuo, e dell'immobile», dice John P. Hussman, presidente di Hussman Funds, e attento osservatore del mercato immobiliare, per le sue ricadute finanziarie. Le banche, se possono, preferiscono aspettare, per non registrare perdite troppo forti. Ma che il mercato possa risalire è un'illusione.
Ci sono circa 3mila miliardi di dollari in mutui legati a case che valgono meno del debito immobiliare contratto. Circa 4.000,5 miliardi di valore sono stati cancellati dal crollo dei prezzi dallo stock immobiliare, rispetto ai picchi del 2006, secondo l'ultimo Flow of funds della Federal reserve. Se poi si aggiunge che le famiglie, tra immobiliare e risparmi legati al mercato - piani pensione soprattutto - hanno perso dall'inizio 2007 circa 13mila miliardi di dollari di asset; e se si aggiunge che l'impatto delle seconde tranche di alt-a e option-arm e altro deve ancora farsi sentire, e che molte famiglie smetteranno di pagare man mano che scatterà la seconda e più cara tranche di pagamenti mensili, è difficile immaginare un mercato che non continui a cadere.
In molti hanno chiesto interventi pubblici per aiutare le famiglie a restare nelle case ed evitare il disastro. Esiste un programma, Making home affordable, varato ad aprile con 75 miliardi presi dal programma Tarp (aiuti alle banche, 700 miliardi) e che dovrebbe venere incontro a 7-9 milioni di famiglie, secondo il Tesoro. Finora ha funzionato lentamente. Testimoniando in Congresso, vari consulenti legali e attivisti hanno indicato casi precisi di banche che rifiutano la negoziazione - piuttosto selettiva perché esclude ad esempio chi non paga in quanto disoccupato - anche quando i contraenti ne hanno pieno diritto. Le banche spesso preferiscono mantenere a libro il valore originale dell'immobile, che non aggiornarlo ai valori di mercato rapportando a questi, in parte, il nuovo mutuo. Il risultato è che solo 97mila dei tre milioni di mutui che potrebbero venire modificati lo è stato finora davvero, mentre 362mila sono in prova, per tre mesi.
  CONTINUA ...»

31 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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