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Sud, ti chiedo uno scatto di volontà

di Giorgio Napolitano (Presidente della Repubblica)

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4 ottobre 2009


I protagonisti e le forze motrici del Risorgimento non potevano pensare un'Italia di cui non fossero parte integrante le regioni del Regno delle Due Sicilie (così come le regioni dello Stato pontificio e Roma). E in quell'Europa nella quale,alla metà dell'Ottocento, tra le maggiori nazioni solo quella italiana e quella germanica non erano ancora riuscite a prender corpo in stati nazionali, non avrebbe potuto assumere un ruolo effettivo un'Italia che fosse rimasta monca, che non avesse, soprattutto, abbracciato il Mezzogiorno nel nuovo stato unitario. È questo un dato storico, il cui valore attuale non può oggi sfuggire, e che va ribadito di fronte a certe fantasticherie che si stanno sentendo in polemica con l'esigenza di una forte, inequivoca celebrazione e riaffermazione dell'unità e indivisibilità dell'Italia.

Di quell'unità dell'Italia tutta fu,come uomo del Mezzogiorno, il più consapevole e ardente assertore Giustino Fortunato. Egli fu sempre vigile nel cogliere, con ansia ed allarme, il pericolo mortale rappresentato per l'Italia, anche decenni dopo l'unificazione, dall'emergere di tendenze particolaristiche e disgregatrici. A fine secolo, egli vedeva quel pericolo come conseguenza della «corruttela parlamentare delle province meridionali » addebitabile in primo luogo allo stesso governo, e guardando soprattutto alla Sicilia, parlò di «bestemmie separatiste», che gli sembravano trovare allora come non mai «terreno propizio», non essendosi mai prima «proclamato con maggiore impudenza insuperabile il dissidio tra l'alta Italia e l'Italia meridionale» (altre bestemmie si sarebbero nuovamente sentite, sul finire della seconda guerra mondiale e anche in tempi più recenti, insieme con non meno «impudenti proclamazioni» della insuperabilità del solco tra Nord e Sud).

Il Mezzogiorno il suo posto nel nuovo stato unitario se l'era guadagnato sul campo. Esso fu- ha detto con forza Galasso da storico - pienamente partecipe, e protagonista di primo piano, della vicenda «di quel che fu prima definito "rinnovamento" dell'Italia e, poi, nella sua fase culminante, il Risorgimento tout court». Una vicenda che nell'Italia meridionale si snodò, dopo l'insorgenza rivoluzionaria del 1820, tappa per tappa, fino a culminare nell'impresa garibaldina dalla Sicilia a Napoli.

Quello del Mezzogiorno rappresentò un contributo peculiare e decisivo al moto risorgimentale. E pur nel quadro di un'incontestabile egemonia moderata sotto la guida del Piemonte sabaudo, la componente democratica del movimento risorgimentale ebbe un ruolo cruciale nella liberazione dell'Italia meridionale.
La scelta che finì per imporsi dell'«annessione immediata e incondizionata» - per plebiscito - delle province meridionali, non può condurre a definire il Mezzogiorno come oggetto di una "conquista", anziché soggetto attivo e determinante del processo che condusse all'unità d'Italia, alla fondazione dello stato nazionale unitario. Il Mezzogiorno si era aperto la strada verso la conquista della libertà con il suo '48 e con il sostegno all'impresa di Garibaldi ; i plebisciti valsero a confermare quella conquista e a creare le basi per la configurazione istituzionale del nuovo stato.

Con il tempo risultati non trascurabili si sono ottenuti, cambiamenti non lievi per determinati aspetti si sono prodotti nel Mezzogiorno ; ma i termini di quell'antico divario, pur oscillando nel tempo, conoscendo a più riprese alti e bassi, e in parte mutando di natura, risultano tuttora drammatici e tendenzialmente stagnanti. E allora, si studino le esperienze dei decenni passati, senza superficiali nostalgismi, senza tentazioni impossibili di ritorno indietro, si formulino ipotesi nuove, partendo tuttavia dalla lezione fondamentale di stampo fortunatiano. È cioè la politica generale dello stato che deve cambiare guardando alla valorizzazione del Mezzogiorno nell'interesse di tutto il paese ; e deve l'insieme della società italiana muoversi nello stesso senso: le sue forze produttive, le energie imprenditoriali, non solo le forze politiche, impegnate nel governo della cosa pubblica.

Il maggiore dei nostri doveri, oggi, e con ancor maggior forza, è l'affrontare la "questione meridionale" come- ha ragione Galasso - "questione italiana". Le celebrazioni del 150?dell'Unitàdebbonoassumerecomeimpegno centrale quello di promuovere una rinnovata consapevolezza di quel dovere, oscuratasi da troppi anni per effetto dello spegnersi del dibattito culturale e politico meridionalista e dell'esaurirsi di una strategia nazionale per il Mezzogiorno. Ma anche per effetto - non possiamo sottacerlo - del diffondersi nell'opinione pubblica settentrionale di un'illusione di sviluppo autosufficiente, destinato a dispiegarsi pienamente una volta liberatosi dal peso frenante del Mezzogiorno.

L'Italia ha bisogno di nuova e più forte coscienza unitaria; l'unità conquistata un secolo e mezzo fa si consolida affrontando con nuovo slancio la sfida dell'incompiutezza della nostra unificazione.
  CONTINUA ...»

4 ottobre 2009
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