Quando Timothy Geithner si insediò nel 2003 alla guida della Federal Reserve Bank di New York, responsabile del primo mercato finanziario mondiale, il suo predecessore Edward G. Corrigan gli consigliò di studiarsi bene il fallimento della Ltcm di Greenwich, Connecticut. È il noto hedge fund saltato in aria nel 1998 per uso di asset inaffidabili contro cui si indebitava troppo, e per abuso di modelli matematici. Il caso Ltcm lo ha studiato bene, insieme a un pugno di altri economisti, John Geanakoplos, 54 anni, che allora faceva il trader e subì i contraccolpi di Ltcm, e oggi insegna a Yale, dove ha la cattedra dedicata a John Tobin, il Nobel keynesiano che fu consigliere di Kennedy.
Partendo da Shakespeare, dal Mercante di Venezia, dall'usuraio Shylock e dalla sua assurda richiesta di una libbra di carne umana del debitore Antonio a garanzia del prestito concesso e in caso di default, Geanakoplos ha incominciato a riflettere sulla affidabilità degli algoritmi che sorreggono tanta finanza contemporanea. Se Shylock avesse avuto expertise matematica invece dell'arte avara innata, avrebbe creato l'impossibile algoritmo della carne umana.
Geanakoplos fa parte di un piccolo gruppo sparso di economisti che da anni riflettono sulle teorie e le prassi che sorreggono gran parte dei mercati finanziari, e dicono che così non può andare. Se si analizza quanto accaduto negli ultimi anni, si vede che c'è stata un'enorme bolla sorretta spesso dal nulla, da garanzie inesigibili. «Non so quanti vogliono guardare in faccia la realtà, perché alla fine di una analisi come la mia e di qualche altro collega, se si applicano le conclusioni, ci si trova con un mercato finanziario più piccolo – dice Geanakoplos a Il Sole 24 Ore -. Ma anche più sicuro e meno esposto a sorprese sgradevoli». I primi dubbi sull'affidabilità di mercati ispirati a teorie rassicuranti Geanakoplos li ha avuti quando si occupava di finanza, come operatore, prima alla ora defunta Kidder, Peabody &Co. E poi dal 95 a Ellington Capital Management, un hedge fund che segue soprattutto titoli legati al mercato immobiliare e di cui Geanakoplos è ancora partner. Poteva toccare con mano la crescita della bolla l'inefficacia o l'inesistenza di regole adeguate.
«Non so bene che cosa Washington stia preparando in fatto di nuove regole, e non so nemmeno se hanno voglia di applicarle davvero. L'amministrazione parla con gli economisti, anche con me, - dice ancora Geanakoplos - stanno a sentire, ma poi non si riesce a capire che cosa abbiano davvero in mente». L'analisi di Geanakoplos, e di alcuni altri, non è del tutto in linea con l'obiettivo senz'altro di Wall Street, e probabilmente di Washington, di ricreare il mercato così come era, dei derivati soprattutto, con qualche regola in più, ma non troppo.
Al centro dell'analisi del professore di Yale c'è la questione del valore degli asset, titoli o real estate, e tutto ciò che serve a ottenere credito. Prima, in questo ciclo, sono venute negli anni 90 le case, che hanno fornito una base enorme di indebitamento. La rincorsa dei prezzi ha gonfiato sempre più il loro valore, e quindi anche il valore come collaterale del debito. È stata una volata senza precedenti storici, con lo stock abitativo americano che si è rivalutato del 92% tra il 96 e l'esplosione della bolla nel 2006 mentre era cresciuto di appena un terzo in prezzi reali, del 27%, nei 106 anni che vanno dal 1890 al 1996.
«Ma non basta – aggiunge Geanakoplos -. Anche i mutui sono diventati asset, con la cartolarizzazione. Il debito garantito dalla casa garantiva a sua volta altro debito, vivendo di vita propria, grazie alla nuova finanza». Il risultato è che tra il 2000 e il 2006 il debito di mercato cresceva negli Stati Uniti del 68% e arrivava a 43mila miliardi di dollari, il triplo del Pil.
Se si va al nocciolo della questione, aveva già capito qualcosa Catullo, mezzo secolo dopo Cristo. Male in arnese in Bitinia alle dipendenze del governatore Memmio, si consolava mettendo le spese fra le entrate, i passivi fra gli attivi, refero datum lucello, scrivo quanto ho speso fra i guadagni. E così titoli che avevano molte probabilità di diventare passivi - e lo sono diventati, legati a mutui facili o spropositati - sono stati piazzati come attivi a tripla A. Le teorie dominanti dicono che il mercato, avendo il maggior numero di informazioni possibile, non sbaglia mai, o meglio se sbaglia lo fa entro certi limiti e comunque tende sempre all'equilibrio. In gergo, questa posizione era ed è supportata dalla teoria dei mercati efficienti e da quella, parallela, delle aspettative razionali. L'ortodossia dice - ed è il corollario dei mercati efficienti e delle aspettative razionali - che se il mercato ritiene che quello è un asset, cioè un bene, e un collaterale su cui emettere un prestito, è così: ovvero come dice il mercato, e al valore che esso indica.
Ma dove gli studi di Geanakoplos hanno le implicazioni maggiori è nella politica monetaria. Puntano il dito su un passaggio cruciale che aiuta molto a capire quanto è successo negli ultimi 20 anni o poco più, e si è concluso nel settembre 2008 con la fine di Lehman Brothers, di Merrill Lynch e la nazionalizzazione di Aig.
Geanakoplos sostiene (da anni) che le banche centrali devono invece monitorare anche i livelli del debito, e tenerne molto conto nella loro politica monetaria. Lo stesso dicevano Roman Frydman e Michael Goldberg nel 2007 nel loro Imperfect Knowledge Economics, dove auspicavano anche livelli automatici per segnalare il rischio bolle, e quella del debito è sempre la superbolla. Altri economisti, finora in genere tenuti ai margini dei simposi e delle riviste più importanti da un'ortodossia che da 30 anni controlla la professione, incominciano a farsi sentire. Sono tutti in qualche modo influenzati da Hyman Minsky, il grande teorico del mercato imperfetto inascoltato in vita, citatissimo da un anno.
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