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LE STRADE DELLA CRESCITA / Finché c'è arroganza ci sarà crisi

di Kenneth Rogoff *

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Molti esperti di previsioni economiche e molti "tori" pensano che «più profonda è la recessione, più rapida sarà la ripresa». Hanno ragione, ma fino a un certo punto: è vero che subito dopo una recessione normale, l'economia spesso cresce molto più in fretta del consueto nei dodici mesi che seguono. Ma purtroppo la Grande Recessione del 2008-2009 è ben lontana dall'essere una recessione normale.
La Grande Recessione è stata ingigantita da una crisi finanziaria, diventando una faccenda molto più insidiosa, di quelle che di solito producono effetti ben più duraturi. Come sosteniamo io e Carmen Reinhart nel nostro nuovo libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly (Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria), la Grande recessione andrebbe chiamata semmai la "Grande contrazione", considerando l'imponente e simultanea contrazione del credito, degli scambi e della crescita a livello planetario.
Fortunatamente, nonostante una ripresa zoppicante nei Paesi industrializzati, i mercati emergenti in Asia, in America Latina e in Medio Oriente hanno enormi potenzialità di crescita latenti. La maggior parte di questi Paesi dovrebbe riuscire a crescere in modo significativo, nonostante il difficile contesto globale.
Ma l'eredità della colossale contrazione del credito non scomparirà tanto presto. Sì, se sei una banca, e in particolare se sei una grande banca, raccogliere denaro dovrebbe risultate sufficientemente facile, grazie alle garanzie a tutto campo, esplicite e implicite, offerte dallo stato. Ma per chiunque altro, in particolare per le piccole e medie imprese, il credito continua a essere un grosso problema. Perfino aziende che operano in settori consolidati, come l'energia, riferiscono di incontrare grandi difficoltà a raccogliere capitali.
Gli ottimisti dicono di non preoccuparsi. Presto il credito arriverà a tutti con la stessa facilità con cui arriva alle banche. D'altronde, anche durante la recessione globale del 1991 si chiusero i rubinetti del credito, ma nel giro di 18 mesi i finanziamenti ricominciarono a fluire.
Ma questo parallelo non tiene conto del fatto che la situazione patrimoniale questa volta è ancora decisamente traballante. I prezzi delle case sono temporaneamente puntellati da una miriade di sussidi, mentre all'orizzonte incombe uno tsunami dell'edilizia commerciale. Le debolezze di molte banche sono semplicemente mascherate dalle garanzie pubbliche.
I Governi del G20 adesso devono fare i conti con l'inquietante prospettiva di dover domare il mostro che hanno creato. Ormai è più che evidente che il contribuente sarà sempre là, pronto a garantire il rimborso delle occupazioni. Libere di agire, le grandi società finanziarie potranno attingere ai mercati obbligazionari nei decenni a venire a tassi appena al di sopra di quello che paga lo Stato, a prescindere dal rischio intrinseco delle loro posizioni. Chi presta soldi a una banca non dovrà preoccuparsi degli azzardi e degli investimenti in cui si cimenta l'istituto,e non dovrà preoccuparsi nemmeno se la regolamentazione funziona o non funziona.
La buona notizia è che la maggior parte dei governi è consapevole della necessità di introdurre regole nuove e significative per le società finanziarie. Ma è qui che sta il problema: la normativa finanziaria è enormemente complicata, tanto più considerando che un certo livello di coerenza internazionale è indispensabile. Sarebbe un disastro se i vari Paesi dovessero affrettarsi a implementare ognuno il proprio sistema.
Per altro verso, se i regolatori si prendessero il tempo necessario per "fare le cose per bene", sul sistema finanziario peserebbe un'ombra enorme di incertezza. Le banche sanno che dovranno fare i conti con requisiti patrimoniali più alti, e che questo le costringerà a ridurre, in rapporto alle risorse, l'attività di concessione crediti. Ma saranno più alti di quanto? Si discute molto sull'ipotesi di scorporare le banche troppo grandi per fallire. Ma concretamente, che cosa succederà?
In questo contesto, non c'è da meravigliarsi che il credito, negli Stati Uniti, in Europa e altrove, continui a contrarsi. Non sapendo quali saranno le regole del gioco, le banche devono fare molta attenzione a non estendere eccessivamente il proprio stato patrimoniale.
Dunque le autorità di regolamentazione pubbliche - e in definitiva tutti noi - sono prese fra l'incudine e il martello.Se regolamenteranno troppo in fretta, avranno anni per pentirsene: una regolamentazione troppo rigida potrebbe danneggiare seriamente, e per decenni, la crescita globale. Ma se la regolamentazione sarà troppo morbida, la prossima maxicrisi finanziaria globale potrebbe arrivare nel giro di un decennio. E anche se i regolatori si prenderanno il tempo necessario per fare le cose per bene, come dovrebbero fare secondo quasi tutti, il mondo potrebbe essere obbligato a convivere con un'espansione del credito fiacca, perché le banche terranno il freno tirato in attesa di un verdetto chiaro sul loro futuro.
  CONTINUA ...»

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