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Italia 2010 una realtà nascosta dai numeri

di Marco Fortis

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6 aprile 2010

L'Italia deve tornare a crescere: il recente intervento di Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti (Il Sole 24 Ore del 2 aprile) ha posto una questione sicuramente cruciale. Ma in che modo? Non si può non concordare in linea di principio con i due economisti sulle direttrici d'intervento che individuano: liberalizzazioni e mercati ben funzionanti, più meritocrazia nell'istruzione e nella ricerca, migliore allocazione delle risorse. A ciò aggiungeremmo anche altri obiettivi a nostro avviso fondamentali: la riduzione del divario territoriale per evitare che il Nord-Centro Italia sia più ricco della Svezia e della Gran Bretagna e il Sud più povero della Grecia; il rilancio del nucleare per evitare che l'Italia resti il paese del G-20 con la più alta dipendenza dall'estero per l'energia primaria; la riforma fiscale e la lotta all'evasione per evitare la vergogna che solo circa l'1% degli italiani dichiari un reddito annuo superiore ai 100mila euro. Il federalismo potrebbe certamente favorire anche l'auspicata «migliore allocazione delle risorse».

Ma scendendo dal livello alto dei principi astratti e degli obiettivi generali assolutamente condivisibili al piano inferiore della dura realtà, la domanda fondamentale che dobbiamo porci è: quali tassi di crescita futura possono realisticamente attendersi non solo l'Italia ma tutti i paesi più ricchi del mondo, dopo il disastro che la maggior parte di essi ha provocato cavalcando modelli di sviluppo drogati da un indebitamento privato insostenibile (che l'Italia fortunatamente non ha seguito, sia pure a prezzo di un minor aumento del Pil)? Finita l'era delle "bolle", quale spazio resta per la crescita, visto che le famiglie e le imprese di due terzi del mondo avanzato oggi sono schiacciate dai debiti e che per salvare le banche e sostenere l'economia anche i bilanci degli stati ora sono sotto pressione? Un recente studio della Deutsche Bank prevede che, a seguito della corsa sfrenata dei deficit statali innescata dalla crisi, nel 2020 Giappone, Grecia, Stati Uniti, Portogallo, Italia, Gran Bretagna, Irlanda e Francia probabilmente avranno un rapporto debito pubblico/Pil superiore al 100%.

Secondo gli analisti di Deutsche Bank «degno di nota è il fatto che l'Italia è l'unico paese di questo gruppo il cui rapporto debito/Pil appare destinato a rimanere più o meno allo stesso livello di oggi». Sempre nel 2020, anche il debito pubblico della Germania e quello della Spagna saranno vicini al 100% del Pil. Se questo è lo scenario, riesce difficile immaginare quale potenziale di crescita futura vi sia non solo per l'Italia ma per tutti i paesi citati nel decennio a venire, considerando anche il fatto che le uniche grandi economie avanzate con bassi debiti delle famiglie sono rimaste l'Italia, la Francia e la Germania. Speriamo solo che anche la Cina non si trovi tra poco alle prese con qualche bolla.

La crescita economica passata, ancora troppo frequentemente presa come riferimento per stabilire quali paesi negli anni scorsi siano stati i migliori o i peggiori, è stata una grande illusione ottica. Infatti, la domanda interna, che rappresenta nella maggior parte delle economie la componente principale del Pil, è semplicemente aumentata in proporzione al peggioramento del rapporto tra debiti delle famiglie/Pil di ciascun paese, come appare chiaramente dal grafico, sino a portare il mondo al collasso. I paesi la cui domanda interna cresceva di più, in realtà hanno cavalcato le "bolle" e l'indebitamento privato e/o pubblico oltre ogni ragionevole misura.

Dunque, alla luce di tutto ciò che senso ha affermare, come sostengono i due autori riferendosi all'Italia, che «la prima cosa da fare è sbarazzare il campo dall'equivoco che le cose dopo tutto non vanno poi così male»? Il vero equivoco, rovesciando i termini del problema, non siamo noi ma gli altri, che non andavano per niente bene come sembrava. E perché continuare ancora a raffrontare la crescita degli ultimi anni del Pil italiano con quella media dell'Ue gonfiata da paesi come la Spagna, la Grecia, l'Irlanda che oggi sono sull'orlo del default a causa di "quella" crescita sbagliata? O confrontare la nostra performance con la "crescita" altrettanto sbagliata degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, che ha letteralmente annichilito anche queste due grandi economie?

Non è forse vero che dall'inizio della crisi gli Usa hanno perso 8 milioni di posti di lavoro, hanno un deficit nel 2010 oltre il 10% e hanno avuto un crollo della ricchezza delle famiglie nel 2008-2009 del 25% (mentre l'Italia ha perso solo il 2%)? A sua volta, la Gran Bretagna ha nazionalizzato 4 banche, ha un deficit pubblico che nel 2010 toccherà il 14% e ha stampato 185 miliardi di sterline per poi avere un Pil che nel 2009 è caduto del 5%, esattamente come quello dell'Italia, che però ha speso pochissimo per gli stimoli, avrà nel 2010 un deficit pubblico solo del 5% e il deficit primario in assoluto più basso dell'Ue-15.
  CONTINUA ...»

6 aprile 2010
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