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RISORSE E RICERCA / La mancanza di coraggio tra gli ultimi della classe

di Alberto Orioli

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6 Novembre 2009
L'opera "Antharfuchsone", di Damien Hirst

Quando la ricerca funziona, ed è la sfida di un intero paese, può accadere che le società nate da una singola università possano quantificare un valore pari alla ventiquattresima economia del pianeta. È il caso dei 4mila spin off sorti dal Mit (Massachussets institute of technology) che qualche anno fa valevano 232 miliardi di dollari. Quando la ricerca è frutto di sforzi solo puntiformi, della consapevolezza di certi territori (e non di altri) accade – è il caso dell'Italia – che da qualche Politecnico eccellente nascano un centinaio di società dal peso economico ancora modesto. E sono eccezioni, frutto di tenace volontà di singoli talenti, sforzo solidale di piccole comunità. Deroghe, dunque, in un paese dove l'investimento in ricerca è fermo all'1,13% del Pil, la metà della Francia o della stessa media dei paesi Ocse, molto indietro rispetto all'inarrivabile 4,68% di Israele.
Ci possiamo consolare con i posti di lavoro disponibili nella ristorazione, nella cura personale e nell'artigianato legato ai lavori domestici? Chiaramente no. Il progresso passa dall'innovazione, l'innovazione dalla ricerca, la ricerca dai fondi per studiare e sperimentare. Se ne parlerà oggi al seminario organizzato dalla Confindustria. «Cresce chi innova» è lo slogan. Uno slogan che responsabilizza tutti: le imprese perché devono scommettere su investimenti immateriali, ad alto rischio anche se ad altissimo potenziale; le università perché devono trasferire know how e non gestire clientele (non è strano che, ad esempio, in Lombardia bastino 44 docenti per ogni brevetto e in Puglia ne servano almeno 208?); il governo perché deve trovare le risorse e impostare programmi di medio lungo raggio (il ministro Mariastella Gelmini, si veda pagina 3, propone solo di usare diversamente i fondi disponibili). E certo la vicenda degli 800 milioni già stanziati per la diffusione della banda larga e subito congelati non è un buon segnale. Le rete in fibra ottica è dotazione elementare per qualunque cittadino, a maggior ragione per chi faccia ricerca. Forse non è del tutto vero che la Tunisia, alquanto dinamica, ci abbia già battuto negli investimenti in innovazione, ma è certo che la Libia sta puntando tutto sulla rete in fibra ottica. Siamo ancora sicuri di stare sulla sponda più sviluppata del Mediterraneo?

6 Novembre 2009
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