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IL TRATTATO DI LISBONA / Senza Unione non c'è Europa

di Stefano Micossi *

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6 Novembre 2009

Non sono tempi felici per l'Europa, come non sono tempi felici da nessuna parte, nel bel mezzo della peggior crisi economica degli ultimi settant'anni. Ma bisognerebbe almeno, nel discutere di Europa, mantenere le coordinate giuste, dare a Cesare quel che è di Cesare. Paiono ingeneroso criticare il nuovo Trattato di Lisbona perché non è costituzione e non attribuisce all'Unione i poteri di uno stato. Occorre distinguere bene quel che possono dare le istituzioni, che sono essenzialmente meccanismi e procedure per le decisioni comuni, e quel che invece dipende dalla politica, che sola può riempire quei meccanismi di contenuti concreti.
Il Trattato di Lisbona non è costituzione, e l'Unione non è stato, per scelta unanime degli stati membri: nessuno, mai, nelle varie conferenze intergovernative succedutesi nell'ultimo decennio ha proposto di trasformare i trattati europei in una costituzione né di creare un nuovo organismo politico capace di determinare autonomamente le proprie competenze e il proprio ordinamento interno. Il Trattato costituzionale del 2004, poi respinto nei referendum francese e olandese, di costituzione aveva solo «i segni e i simboli», che furono fonte soprattutto di confusione e contribuirono non poco a sollevare contro il Trattato larghi starti dell'opinione pubblica.
Il contributo centrale del Trattato di Lisbona sta altrove: nell'aver trovato un equilibrio nella ripartizione dei poteri, da un lato tra gli stati membri e l'Unione, dall'altro tra le istituzioni interne dell'Unione. Risolvendo questioni che erano aperte fin da quando il Trattato di Maastricht aveva creato, con l'Unione, i due pilastri politici della politica estera e dello spazio di giustizia e sicurezza interna.
Così, il nuovo Trattato rafforza il principio di attribuzione, secondo il quale tutte le funzioni non esplicitamente attribuite all'Unione appartengono agli stati membri, e introduce nuove procedure legislative e giurisdizionali per la difesa del principio di sussidiarietà - eliminando la possibilità di un'espansione "strisciante" delle competenze dell'Unione che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Il nuovo meccanismo di voto nel Consiglio, oltre ad essere più semplice e trasparente, aumenta il peso nelle decisioni della popolazione, dunque riduce quello un po' sproporzionato dei paesi minori. Cresce il ruolo del Consiglio, ora guidato da un presidente stabile, e del Parlamento europeo, arricchito di nuove competenze; si indebolisce quello della Commissione, che tuttavia resta il guardiano del Trattato e mantiene il potere esclusivo di iniziativa legislativa - poteri utili, naturalmente, solo se si decide di esercitarli, presidente Barroso!
Sul piano operativo, l'Unione guadagna non solo un presidente stabile, le cui precise funzioni sono peraltro definite in modo un po' vago; ma anche una nuova figura di alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza che diventa anche vice-presidente della Commissione, con la responsabilità di coordinamento di tutti i servizi attivi nelle relazioni esterne - dal commercio alle politiche di sviluppo, alle relazioni politiche. Le possibilità di istituire cooperazioni rafforzate tra stati membri che decidano di avanzare più rapidamente nella messa in comune di poteri e funzioni sono più ampie: ad esempio, si potrebbe facilmente decidere di unificare la rappresentanza di un sottogruppo di paesi membri nelle istituzioni internazionali. È prevista la possibilità che gruppi di paesi meglio attrezzati mettano in comune uomini e mezzi per speciali missioni di difesa, anche stabili. La materia della sicurezza interna, inclusa la sorveglianza dei confini, è stata largamente comunitarizzata e si deciderà a maggioranza. Come si vede, se si vuol fare, gli strumenti non mancano, ma poi servono le decisioni nel merito.
Voglio anche ricordare che, contrariamente alla percezione di paralisi diffusa nell'opinione pubblica, gli ultimi dieci anni sono stati anni di avanzamento tumultuoso della costruzione europea: l'euro, l'allargamento a est, la creazione di un quadro normativo comune per i servizi finanziari e tutti gli altri servizi, prima non coperti dalle regole del mercato interno, l'immigrazione e l'asilo, il mutuo riconoscimento dei giudizi civili e penali. Agenzie europee controllano i cieli e le azioni di polizia transfrontaliere. Ma i paesi del Nord non vogliono pagare il conto del pattugliamento delle frontiere meridionali per frenare l'immigrazione, con enormi costi politici.
La conclusione è chiara. Se l'Unione europea appare debole e irresoluta sulla scena internazionale, ciò accade perché i suoi membri sono miopi o divisi. Miopi, come quando hanno deciso di frenare l'allargamento alla Turchia o non hanno saputo rispondere positivamente alla richiesta americana di uno sforzo maggiore in Afganistan (qui ha fatto miglior figura l'Italia, pur senza soldi e con pochi mezzi). Divisi su molte importanti questioni strategiche, come quella del nucleare iraniano o della sicurezza negli approvvigionamenti energetici, dove lasciamo che i russi ci giochino gli uni contro gli altri.
È andata meglio nella finanza: presentandosi uniti al vertice di Pittsburgh in settembre, i paesi europei hanno ottenuto risultati importanti in materia di capitale bancario e politiche di remunerazione del management. Se solo volessimo, potremmo attirare enormi capitali dall'esterno dell'area attraverso emissioni di Union bonds e utilizzarli per investire massicciamente per l'ambiente, l'energia, le infrastrutture, sottraendo in tal modo l'economia dell'Unione alla prospettiva di un sentiero di crescita dell'1 per cento. Che altrimenti è proprio quel che ci aspetta.
  CONTINUA ...»

6 Novembre 2009
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