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MERCATO DEL LAVORO / Non piangete sui cervelli in fuga

di Pietro Reichlin

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07 febbraio 2010

In generale, la presenza di economie di scala ed esternalità positive legate alla composizione della forza lavoro spiegano perché molti paesi economicamente avanzati sono impegnati in una gara per attirare i migliori "cervelli" disponibili sul mercato mondiale. I paesi anglosassoni e, più recentemente, la Germania, hanno introdotto visti speciali o permessi di residenza "a punti", che favoriscono l'ingresso di chi ha elevati livelli d'istruzione, particolari competenze e giovane età.
Ciò spiega il motivo per cui questi paesi sono luogo di residenza della maggior parte dei lavoratori qualificati. Nella Silicon Valley, il luogo da cui è partita la rivoluzione tecnologica degli anni 90, oltre il 50% delle nuove imprese ha avuto un immigrato come dirigente scientifico o amministratore delegato. Nel 2000, il 47% di coloro che possedevano un dottorato di ricerca nelle materie scientifiche era straniero.

Lo stock di emigrati che posseggono un diploma di laurea nei paesi Ocse è di circa 20 milioni. Oltre il 72% risiede in Australia, Canada e Usa, il 24% si trova in Europa. Dunque, l'Europa riesce ad attrarre una parte relativamente modesta dello stock d'immigrazione qualificata e l'Italia è una delle ultime in classifica. Il 6% dei lavoratori immigrati nell'area Ocse con diploma di laurea risiede nel Regno Unito, il 5% in Germania, una percentuale compresa tra l'1,5 e il 3% in Francia, Olanda e Spagna, solo lo 0,7% in Italia.
La fuga dei cervelli colpisce sia i paesi in via di sviluppo che i paesi sviluppati. I tassi di emigrazione dei lavoratori "altamente istruiti" nei paesi in via di sviluppo è in alcuni casi superiore all'80% (Capo Verde, Guyana e Giamaica) e si aggira intorno al 4% nel caso di Cina e India. Per i principali paesi economicamente avanzati, il dato si colloca tra il 3,5 e il 13 per cento. L'Italia esibisce un tasso d'emigrazione dei laureati superiore al 9 per cento. Un altro dato significativo riguarda i ricercatori impiegati nei settori scientifico-tecnologici negli Usa. Per questo gruppo d'individui, il tasso d'emigrazione medio per i paesi in via di sviluppo sarebbe del 45,6%, mentre quello relativo ai paesi a reddito elevato sarebbe del 21,4 per cento.
Una valida congettura è che coloro che emigrano siano dotati di maggiore talento. Secondo stime approssimative, la percentuale di scienziati e accademici europei residenti negli Usa "di maggiore talento", o che "contano", può arrivare fino al 40-50%.

La perdita di capitale umano a favore delle regioni più sviluppate è stata recentemente sollevata in relazione al dualismo Nord-Sud che caratterizza l'economia italiana. Alcuni recenti studi della Svimez e della Banca d'Italia stimano che, tra il 2000 e il 2005, circa 80mila laureati del Mezzogiorno siano emigrati nel Nord Italia, un numero fortemente superiore a quello registrato nel decennio precedente. In particolare, i flussi migratori dal Sud al Nord negli ultimi quindici anni sono prevalentemente costituiti da giovani qualificati alla ricerca di opportunità di lavoro adeguate al titolo di studio. Si stima che, su 100 laureati meridionali, circa 30 trovano lavoro al Centro-Nord.

Questo esodo ha suscitato preoccupazione da parte degli osservatori. Tuttavia, posto a confronto con i movimenti internazionali che abbiamo appena visto, il dato del Sud non appare eccessivo (anche in considerazione dell'assenza di barriere doganali e dei tassi di disoccupazione che caratterizzano le regioni meridionali).

Il problema della fuga dei cervelli ha suscitato molte discussioni sull'effetto esercitato sulle economie dei paesi d'origine dell'emigrazione. Si afferma comunemente che, in conseguenza di questo fenomeno, i paesi d'origine perdono due volte: perché si privano della componente migliore della forza lavoro e perché pagano i costi d'investimento in istruzione senza ottenere il ritorno previsto. Ciò ha indotto alcuni economisti a valorizzare la chiusura delle frontiere o a proporre che gli emigrati qualificati siano costretti a versare una tassa a favore dei paesi di origine.

In presenza di tassazione distorsiva, esiste un conflitto tra efficienza ed equità. Un aumento delle aliquote sui cittadini più ricchi (più istruiti o più abili) ha il vantaggio di aumentare l'equità, ma ha un costo, in termini di efficienza, sia perché riduce l'offerta di lavoro, sia perché incentiva l'emigrazione degli individui più abili o qualificati. Se adottiamo il punto di vista dei cittadini che rimangono in patria, la tassazione ottima (cioè quella che sacrifica in minor misura l'efficienza senza rinunciare all'equità) implica tasse sui cittadini residenti all'estero insieme a sussidi all'istruzione. Tuttavia, è chiaro che la tassazione dei non residenti è difficilmente perseguibile. Inoltre, se non si riesce a sussidiare sufficientemente l'istruzione, tali misure possono scoraggiare la formazione del capitale umano.

Sulla base di quest'ultima considerazione, una recente letteratura ha messo in discussione la tesi che la fuga dei cervelli sia sempre un fattore negativo per i paesi d'origine. Si nota che i paesi che esportano una percentuale elevata di lavoro qualificato sono anche quelli nei quali i livelli d'educazione e il capitale umano crescono con più intensità. La ragione è semplice: la possibilità di emigrare nei paesi ricchi aumenta in modo particolare le prospettive di guadagno dei lavoratori istruiti e i benefici pecuniari attesi dell'investimento in istruzione. Ciò determina un aumento del capitale umano. Poiché non tutti i cittadini istruiti potranno o vorranno emigrare, questo aumento avvantaggia, in parte, i paesi d'origine. Alcune stime per i paesi in via di sviluppo indicano che un raddoppio della propensione ad emigrare dei lavoratori qualificati produce un aumento del 5% del capitale umano del paese d'origine.
  CONTINUA ...»

07 febbraio 2010
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