Un anno fa, l'economia mondiale precipitava in una recessione profonda. Oggi, fortunatamente, assistiamo a una stabilizzazione finanziaria e a una ripresa economica. Ma non dobbiamo dichiarare vittoria. Il mondo potrebbe ancora commettere due errori: il primo è ritirare troppo presto le misure di stimolo; il secondo è perdere l'opportunità per fare le riforme. Sono due pericoli da evitare. Questa è la lezione che ho appreso alle riunioni annuali del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale a Istanbul. E dunque: a che punto siamo e in che direzione dobbiamo andare? Possiamo ricondurre la questione a "cinque R": rescue, recovery, rebalancing, regulation, reform (rifugio, ripresa, riequilibrio, regolamentazione e riforme).
Il salvataggio è stato senza precedenti per proporzioni ed estensione. Non poteva essere altrimenti: l'economia mondiale era sull'orlo del baratro. All'inizio del 2009, il calo annualizzato della media mobile trimestrale della produzione industriale mondiale ha raggiunto il 25%. Il calo degli scambi globale è stato ancora più drastico.
In risposta, le autorità hanno socializzato la maggior parte delle passività finanziarie, hanno lanciato politiche di espansione quantitativa senza precedenti e hanno toccato livelli di deficit mai visti prima in tempo di pace. Nei paesi ad alto reddito, il sostegno al settore finanziario (attraverso iniezioni di capitale, garanzie, acquisti di attività e forniture di liquidità) ha raggiunto il 29% del Pil. L'Fmi stima il disavanzo di bilancio di questi paesi al 9% del Pil per il 2009. La crescita prevista del debito pubblico è paragonabile a quella di una guerra importante.
«Ha funzionato», come hanno proclamato i leader del gruppo dei venti maggiori paesi dopo il vertice di Pittsburgh. Un indicatore in tal senso è la revisione al rialzo delle previsioni dell'Fmi da luglio a oggi. Non dobbiamo dimenticare quello che comporterebbe una ripresa di questo tipo: verosimilmente, poche economie assisteranno a un calo della disoccupazione e della sovracapacità produttiva nel prossimo anno.
Inoltre, la ripresa dipende in misura preponderante dall'impennata della spesa pubblica e dal ciclo di avvicendamento delle scorte, specialmente negli Usa. Come sottolinea l'Fmi, «il rischio principale è che l'economia privata nelle economie avanzate rimanga molto debole».
Nonostante la ripresa della fiducia, il sistema finanziario è ancora danneggiato. La riduzione della leva finanziaria nel settore privato è appena cominciata. L'aumento del tasso di risparmio in paesi come Usa e Gran Bretagna potrebbe rivelarsi permanente. E dunque la crescita potrebbe indebolirsi una volta esaurito l'effetto del rimbalzo delle scorte e degli stimoli di bilancio. Un ritiro prematuro delle misure di stimolo potrebbe rivelarsi un errore colossale.
Ma è anche molto rischioso aspettarsi che siano paesi con un deficit con l'estero e un settore privato indebitato a garantire in larga parte il rilancio della domanda, perché il pericolo è che l'odierna crisi di indebitamento del settore privato si trasformi domani in crisi valutaria e del debito pubblico. Ecco perché è così importante la terza R, il riequilibrio. Il mondo ha bisogno che i paesi con un forte surplus favoriscano una crescita della domanda superiore alla crescita della produzione potenziale, in modo da ridurre l'eccedenza. Questo ancora non sta avvenendo. Gli squilibri della bilancia corrente quest'anno si sono ridotti, ma la ragione è soprattutto il calo del prezzo del petrolio. Inoltre, l'Fmi prevede che questi squilibri si allargheranno a partire dal prossimo anno.
Oltre a questi timori sul medio termine ci sono due problemi di lungo periodo: la regolamentazione del settore finanziario e la riforma del sistema monetario internazionale. Ma in tutti e due i casi, probabilmente, le misure assunte saranno molto al di sotto di quanto necessario. Sulla re-regulation, le autorità devono far fronte a pressioni contraddittorie: sul breve periodo, vogliono disperatamente che il credito torni a fluire, ma sul lungo periodo puntano a impedire un'altra crisi. Il settore finanziario è ben consapevole di questo dilemma (ed è determinato a sfruttarlo). Perfino Joseph Ackermann, il presidente dell'Institute of international finance, uno dei più assennati fra gli esponenti di punta del settore, ha detto che «le riforme normative pubbliche devono essere equilibrate, e bisogna tenere attentamente in considerazione quelle contropartite che possono implicare una riduzione della crescita globale e della creazione di occupazione». In sintesi: grazie per i soldi che ci avete dato; ora, per favore, levatevi di torno. È fin troppo prevedibile. Ma cambiamenti fondamentali sono indispensabili. Fare quello che vogliono i banchieri, tra l'altro, è politicamente venefico. Nessuna gratifica andrebbe pagata fino a quando le banche non avranno raggiunto livelli di capitalizzazione adeguati. Ancora meglio, come sostiene Andrew Smithers, della londinese Smithers & Co.: costringiamo le banche a raccogliere i capitali necessari, e se non ci riescono che provveda lo stato.
Sul lungo periodo, servono almeno altri tre cambiamenti: l'introduzione di un meccanismo di liquidazione per tutti gli istituti finanziari, con i costi a carico dei creditori; il trasferimento di quasi tutti gli scambi in stanze di compensazione o Borse; l'applicazione di sistemi retributivi che garantiscano che la dirigenza degli istituti soccorsi incorra sempre in perdite pesanti.
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