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IL DIBATTITO SULLA RU486 / Una pillola da non scomunicare

di Roberta De Monticelli

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8 Agosto 2009

Com'è strano che la decisione a favore della commercializzazione in Italia della pillola abortiva Ru 486 abbia provocato tante manifestazioni di amarezza e riprovazione delle gerarchie della chiesa cattolica italiana, del Vaticano, e di molte associazioni cattoliche. Com'è strano che si sia annunciata la scomunica ai medici che se ne serviranno.

È strano perché la pillola in questione - lungi dal cambiare qualcosa, in termini giuridici ed etici, alla legge che da 25 anni regola l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia - alleggerisce semplicemente l'onere fisico, psicologico ed economico di una scelta comunque dolorosa per una donna. Pietà vorrebbe che la riduzione di una già cospicua sofferenza venisse salutata con amorevole sollievo per il men grave carico delle peccatrici (sto provando a immedesimarmi nella mente dei prelati che sono intervenuti, anche se non è un esercizio agevole) oltre che con paterna riprovazione per il peccato! Questo vorrebbe, credo, la pietà cristiana. La logica poi vorrebbe che, se si vuol cogliere l'occasione di riaprire una polemica, sia direttamente la legge dello stato che già esiste la cosa da attaccare apertamente. Certo, in questo caso bisognerebbe essere assai più chiari. Una legge dello stato, anche in un paese che della legalità fa carta straccia come il nostro, è ancora un po' diversa da un'opinione facinorosa.

Continuiamo l'esercizio d'immedesimazione: in pura logica, questo tipo di legge (come ogni norma che regoli una libertà civile) consente alle persone di decidersi per ciò che il cattolico romano considera un omicidio (che poi l'opinione di Tommaso d'Aquino fosse differente, qui non importa) oppure di rifiutarsi a questo atto. Dato che i polemisti odierni insistono sull'aspetto etico, logica vorrebbe che si notasse anche che la responsabilità etica, nel male e anche nel bene, è assai diminuita quando una scelta è obbligata.

Insomma è più difficile impugnare un diritto civile esistente sulla base di una dottrina ecclesiastica, quando insieme si vuole continuare a rendere verbale omaggio alla laicità dello stato, e questo si capisce. Ma allora onestà vorrebbe che lo si dicesse chiaro: quello che della pillola abortiva non va bene è il fatto che umanizza una condizione dolorosissima. Il fatto che, come sempre la medicina, diminuisce la nostra sofferenza quando è inutile.

Se una prende una decisione che la sua guida spirituale giudica malvagia, che almeno soffra il più possibile, e soprattutto che sia il più possibile dipendente dal medico (cioè da colui che dovrebbe invece essere semplicemente al servizio del paziente libero, responsabile e informato, quando si tratti di sanità pubblica). Anzi: ben venga la dipendenza e l'onerosità, come forza dissuasiva, e pazienza se la peccatrice non avrà peccato solo per evitare quest'onere. Certo una profonda stima della maturità morale dei cittadini, questa: non facilitate l'aborto, se no le remore morali verranno meno!

Qualche vescovo ha detto ciò chiaramente? Nemmeno per sogno: su questo punto la nebbia si fa fittissima. Scrive il cardinal Poletto: «La nostra scelta di parlare è nata per contrastare un punto di vista che consideriamo molto pericoloso e sbagliato, quello per cui la pillola renderebbe l'aborto facile e indolore». Ma se non lo rendesse facile e indolore (siamo d'accordo!) - perché opporsi a essa invece che direttamente alla 194?

C'è un altro argomento che invece sarebbe chiarissimo: troppa libertà. La vicenda di Eluana prima e ora quella della Ru486 «ci fanno vedere - scrive il cardinal Bagnasco - un indirizzo prevalente se non assoluto verso la libertà dell'individuo, una libertà che sembra essere assoluta». Ecco, ma su questo punto le persone che infine scelgono e decidono, secondo quanto finora previsto dalla legge, cioè gli individui adulti e responsabili, in particolare le donne, sono o non sono "troppo" libere? Al dunque, sì e no, insieme.

Poverette. «Gravissime sono le ricadute psicologiche - recita il documento dell'Ufficio per la pastorale della salute della Diocesi di Torino - perché il medico, quando non sceglie di avvalersi dell'obiezione di coscienza, assume il ruolo di assistente passivo e la donna diventa protagonista dell'atto abortivo che si protrae nel tempo, finché, dopo interminabili ore vissute nell'angoscia e con inevitabili sensi di colpa, è costretta a vedere il figlio espulso, rifiutato come un corpo estraneo». «Costretta»? Ma il problema non era che era troppo libera?

Tre osservazioni per concludere queste riflessioni. Le prime due riguardano presente e passato. L'ultima il futuro. La prima: stupisce dolorosamente quanto poco nei documenti ecclesiali romani siano passate le parole del Nazareno: «Dite sì sì, no no - il resto è dal demonio». La seconda: altrettanto dolorosamente colpisce il disprezzo di questi prelati per le donne - in verità per tutte le persone adulte - implicito nel disconoscerci vera capacità di scelta, e capacità di assumerci la responsabilità morale delle nostre azioni. E il vilipendio di quella libertà che ha come posta in gioco la decisione per il bene o il male minore o per il male o il male maggiore: eppure non fu il cristianesimo a insegnare per primo all'Occidente che di questa libertà è fatta una persona?

  CONTINUA ...»

8 Agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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