Le recenti polemiche sul partito del Sud hanno riportato l'attenzione dell'opinione pubblica sul partito del Nord, la Lega. Fino a poco tempo fa era come se la Lega si fosse mimetizzata. Non era più la Lega Nord ma solo la Lega. Quasi un partito nazionale. La stessa bandiera leghista – il federalismo fiscale – è stata abilmente presentata come un "gioco" in cui tutti i partecipanti sono destinati a guadagnare qualcosa. Senza vincitori né vinti. E invece la Lega è e resta il partito del Nord. L'intuizione vincente di Umberto Bossi nella seconda metà degli anni 80 è stata quella di capire che esisteva un mercato potenziale per un movimento "nordista" e ha trasformato l'insoddisfazione diffusa nei confronti della politica romana in una domanda per una diversa organizzazione dello stato unitario. Lo ha fatto attivando una frattura latente nella società italiana dai tempi dell'Unità, quella tra Nord e Sud. Coniando slogan rozzi ma efficaci come il famoso "Roma ladrona", cavalcando la secessione prima e il federalismo poi. Ma sempre riuscendo a interpretare un malessere profondo che gli altri partiti non hanno intercettato e a cui ancora oggi fanno fatica a rispondere. Questa è sempre stata la vera identità della Lega.
La sua storia non è stata una marcia trionfale. Il partito di Bossi ha avuto i suoi alti e bassi. Sono stati commessi molti errori. Ma proprio queste alterne vicende dimostrano che la Lega è un fenomeno duraturo che ha una sua base solida sulla quale ha sempre potuto contare anche nei momenti difficili. Una storia che può essere divisa grosso modo in tre fasi. La prima, tra il 1987 e il '96, è stata esaltante. Nelle politiche dell'87 prese alla Camera solo 186.255 voti (lo 0,5%). Ma si era prima del crollo del muro di Berlino e di Mani pulite. Cinque anni dopo ci fu l'exploit che colse tutti di sorpresa. Nelle ultime elezioni della Prima repubblica, quelle del '92, ottenne 3.341.459 voti (l'8,7%). In Lombardia prese gli stessi voti della Dc e il doppio del Pds. È chiaro che in quell'anno la Lega incassò il dividendo legato alla caduta del comunismo. Milioni di elettori stufi di "turarsi il naso" per difendere la democrazia votarono per la novità rappresentata da Bossi.
A quell'epoca il ciclone di Mani Pulite non aveva ancora prodotto i suoi effetti. Lo farà nel '94. Ma la Lega non riuscirà a incassare anche questo dividendo elettorale. Saranno invece Berlusconi e Forza Italia a beneficiarne. Il nuovo sistema elettorale approvato nel '93 a seguito del referendum imponeva alleanze e Bossi, dopo un iniziale flirt con Segni, scelse Berlusconi.
Fu una scelta sofferta ma ben remunerata. Nella spartizione dei collegi uninominali della Camera al Nord, Bossi ne ottenne 116 su 180 (64%) e al Senato addirittura il 70%. Riuscì così a eleggere 117 deputati e 60 senatori. Era il terzo partito in Parlamento. Ma in termini di voti il risultato non fu all'altezza delle aspettative. Anzi, ci fu un lieve arretramento dall'8,7% all'8,4. Lo sfondamento al Nord non ci fu. La presenza di Forza Italia aveva tolto spazio alla Lega. Bossi aveva trovato un concorrente temibile per il voto del Nord. Dietro alla crisi del governo Berlusconi alla fine di quell'anno – dovuta al passaggio della Lega all'opposizione – c'era anche il desiderio di riavere mani libere per competere con Forza Italia su un terreno su cui Berlusconi non poteva seguirla, quello della secessione.
Questa politica non ha pagato pur risultando elettoralmente vincente. La prima fase della storia leghista si chiude con le elezioni del '96, massimo successo elettorale: 3.778.354 voti proporzionali alla Camera, il 10,1 %. Un risultato mai più ripetuto. Ma un fallimento politico. La divisione tra Bossi e Berlusconi fece vincere Prodi trasformando una maggioranza popolare di destra in una minoranza parlamentare.
Bossi mancò l'obiettivo di fare della Lega l'ago della bilancia della politica italiana. Prodi riuscì a ottenere la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Paradossalmente questo non sarebbe successo se la Lega avesse tolto meno voti a Fi. In questo caso la sinistra avrebbe vinto meno seggi nei collegi e non avrebbe ottenuto la maggioranza in Parlamento. Bossi sarebbe diventato l'arbitro, invece fu il principale responsabile della vittoria della sinistra.
Così è iniziato il declino della Lega, nel momento del suo massimo successo, ed è durato a lungo. Nelle elezioni del 2001 ha toccato il fondo non riuscendo a superare la soglia del 4% alla Camera. Nel 2006 ottenne solo il 4,2.
Nel frattempo aveva cambiato pelle. Le difficoltà politiche e finanziarie avevano riportato Bossi a più miti consigli. La secessione fu messa in sordina e si tornò all'alleanza con Forza Italia che consentì di vincere le elezioni del 2001 e di limitare la vittoria di Prodi nel 2006. Ma sono le elezioni del 2008 a segnare l'inizio di un nuovo ciclo che non si sa quanto durerà e soprattutto quali esiti produrrà. Con queste elezioni la Lega di governo torna quasi ai livelli di consenso della Lega secessionista della prima metà degli anni novanta. Torna infatti sopra l'8% a livello nazionale, con punte del 21,6% in Lombardia e del 27,1% in Veneto.
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