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Questa gente non sta investendo in giornalismo, sta mangiando alle spalle della fatica e degli investimenti di altri. E appropriarsi indebitamente quasi in toto dei nostri articoli non è un "utilizzo corretto". Per dirla senza giri di parole, è un furto.
In questo momento i creatori dei contenuti sopportano tutti i costi, mentre gli aggregatori di contenuti si godono molti dei benefici. Sul lungo termine, tutto questo è insostenibile. Noi siamo aperti ad altri modelli di retribuzione, ma il principio è chiaro. Per parafrasare un famoso economista, non esistono gli articoli gratis, e faremo in modo di farci pagare, in modo equo ma modesto, per il valore che forniamo.
Per concludere, qualche parola sullo stato. Negli ultimi venti o trent'anni, abbiamo visto nascere nuove piattaforme e nuove opportunità che nessuno avrebbe potuto prevedere: siti di social network, iPhone, Blackberry, i siti internet dei quotidiani, delle radio e delle televisioni. E siamo solo all'inizio.
Lo stato ha un ruolo da questo punto di vista. Sfortunatamente, una parte preponderante dei meccanismi che lo stato usa per regolamentare l'informazione e le aziende che operano in questo settore è basata su presupposti e modelli di business del XX secolo. Gli sviluppi del settore significano maggiore concorrenza, e questo è un bene per i consumatori. Ma come le aziende si stanno adattando a nuove realtà, anche lo stato deve farlo. In questo nuovo mondo dell'informazione più competitivo, limitare la proprietà incrociata fra televisioni e quotidiani ha tanto poco senso quanto ne avrebbe proibire ai quotidiani di avere siti web.
A mio parere, le crescenti richieste di un'assistenza pubblica per i quotidiani sono allarmanti quanto l'eccesso di regolamentazione. Un'idea che sta guadagnando popolarità è quella di destinare fondi pubblici ai giornalisti, o di dare ai quotidiani lo status di organizzazioni non profit, in cambio, naturalmente, della rinuncia dei quotidiani ad appoggiare candidati politici. Il problema maggiore dell'"aiuto" pubblico è quello a cui abbiamo assistito nel caso del salvataggio dell'industria automobilistica: gli aiuti tengono in piedi aziende che producono cose che i clienti non vogliono.
La prospettiva che il governo americano entri direttamente nel giornalismo commerciale dovrebbe risultare terrificante per chiunque abbia a cuore la libertà di parola. I Padri fondatori sapevano che l'elemento fondamentale per l'indipendenza era consentire alle imprese di prosperare e fare da contrappeso al potere pubblico. È proprio perché i quotidiani non realizzano profitti e non dipendono dal governo per la loro sopravvivenza che hanno le risorse e i mezzi per sorvegliare l'operato del governo.
Quando i rappresentanti di 13 ex colonie britanniche stabilirono un nuovo ordine per i secoli a venire, lo basarono su fondamenta solide: una cittadinanza libera e informata. Sapevano che per avere una cittadinanza informata serve un'informazione indipendente. Questa è una delle ragioni alla base del primo emendamento.
Il nostro mondo moderno si muove più in fretta ed è molto più complesso di quanto non fosse il loro. Ma la verità di fondo resta: per prendere decisioni informate, gli uomini e le donne liberi hanno bisogno di notizie oneste e affidabili sugli eventi che riguardano la loro nazione e la loro vita. Come sarà diffuso il giornale del futuro, tramite elettroni o tramite alberi morti, in definitiva non è importante. Quello che è importante soprattutto è che l'industria dell'informazione resti libera, indipendente, e competitiva.
L'articolo è uno stralcio dell'intervento alla Commissione federale per le comunicazioni Usa il 1° dicembre
(Traduzione di Fabio Galimberti)