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Pd, quei due milioni di voti attesi per le primarie

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19 ottobre 2009

2 milioni di votanti. È il tetto che Dario Franceschini fissa per le primarie. Da quella cifra in su, dice «sarò contento»: una previsione e un auspicio insieme. Ma Franceschini lancia anche un appello alle personalità del mondo della cultura e della società civile perchè facciano outing e esprimano la loro preferenza per i candidati alla guida del Pd. «Dicano per chi votano», esorta il segretario «in questo paese ci vuole un po' di coraggio per dire chi si ritiene il candidato più adatto».
Pier Luigi Bersani e Ignazio Marino non danno numeri ma sono fiduciosi che dal 25 ottobre esca non solo il segretario ma anche un Pd rafforzato dalla prova di forza.
«Se mi eleggono, lunedì non vado mica da Berlusconi ma dai lavoratori e dalle forze di opposizione», assicura Bersani che, in caso di vittoria, pone in primo piano l'apertura di un cantiere di alleanze, a partire dall'Udc. L'ex ministro ipotizza un dialogo con la maggioranza «solo se si parla dei problemi dei cittadini e non del premier». Ancora più netto è Franceschini: «Se sarò eletto, farò un'opposizione intransigente, senza pasticci», afferma il segretario che risponde un secco «No, grazie» al ministro Ignazio La Russa che sulle riforme propone di ripartire dalla Bicamerale di Massimo D'Alema.

Resta critico Francesco Rutelli per il quale il Pd è «inadatto» a scenari politici futuri e invece di «recuperare il centro, si avvia ad essere un partito socialdemocratico alleato a Di Pietro».
Ma anche altri lasciano trapelare malumori, che potrebbero emergere in caso di vittoria di Pier Luigi Bersani. «Fioroni mi ha chiamato, non se ne va», si fa garante Franceschini.
Bersani si dice «indignato e intimamente colpito» da ipotesi di scissioni contro una sua vittoria. Secondo Ignazio Marino si tratta di liti di apparato: «le divisioni tra l'area cattolica, alla quale fanno riferimento tra gli altri Fioroni e Franco Marini, e la cosiddetta matrice comunista le ritrovo più tra questi 16-18 capi corrente che all'interno del partito. Basta parlare di scissioni».
Restano gli scettici, come i sindaci Sergio Chiamparino o Matteo Renzi, che non sanno ancora se e per chi votare. E anche se il partito delle schede bianche si prefigura come una minoranza esigua, i candidati sfruttano fino all'ultimo minuto per convincere tutti ad andare a votare. Anche a costo di perdere un voto. «Preferisco che votino Franceschini o Marino piuttosto che scheda bianca: abbiamo bisogno che chi esce da lì abbia forza», esorta Bersani.
Franceschini resta convinto che dopo le primarie non ci saranno scissioni. «Il Pd non è un partito identitario - dice - è un partito plurale con dentro tante posizioni e fare la sintesi è la sfida più bella e più difficile. Per questo sono convinto che non ci saranno fughe o uscite». Nelle primarie il segretario vede «il punto di partenza per un progetto che allarghi ancora di più», con l'obiettivo di «includere, non mandare fuori».

19 ottobre 2009
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