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Villaggio & C. e il sentimento perduto

di Lina Palmerini

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4 Ottobre 2009

«La corazzata Potemkin, ha presente?». Conosciamo a memoria. «Dissi "è una cagata pazzesca". Fu una bestemmia, un graffio dissacrante. Ma quella era la prima, piccola incrinatura che è diventata declino. Sa perché? Perché la sinistra non ha saputo fare autocritica, si è autoassolta e si è allontanata dal popolo. E poi tutto un mondo si è dissolto, gli operai si sono imborghesiti, il partito si è perso e ha perso la voglia di cercarsi i suoi interlocutori». Paolo Villaggio ritorna ai tempi di quel "Tragico secondo Fantozzi", gli tornano in mente i congressi di una volta e quel Pci venerato dal suo popolo, rispettato, che esprimeva il suo legame con il partito anche attraverso quella soggezione culturale da lui ben descritta. Manca una settimana al congresso del Pd, l'evoluzione di quel Pci e della tradizione democristiana. L'11 ottobre sarà la prima volta per il nuovo partito: la prima conta tra duellanti e tifoserie diverse. Non c'è più un patto non scritto e un esito già scritto – come fu con Walter Veltroni – ma sono in tre a contendersi la leadership nei due passaggi previsti dallo Statuto: voto degli iscritti che sarà ufficializzato l'11 – ma è già noto e dà la vittoria a Bersani – e, poi, il voto degli elettori Pd con le primarie del 25 ottobre, quando si proclamerà il vincente. Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Ignazio Marino sono in gara. Ancora una volta tra le polemiche, le divisioni, in un «amalgama» ancora da cercare.
Nel frattempo le lacerazioni hanno portato disaffezione, il deficit di identità ha portato disinteresse. L'umore del popolo di sinistra si sente nelle parole di Villaggio. «Il politbjuro nostrano parla solo di quello lì che ha i capelli tinti, di quello lì che è un pericolo pubblico, che va con le escort e minaccia la democrazia. Ma non hanno altro da dire?». Il sentimento che riscaldava la politica e, soprattutto quella di sinistra, sembra svanito. Sembra.
Nando Pagnoncelli parla a tu per tu con i numeri e la trama che legge è un'altra. I suoi sondaggi, marchio Ipsos, sono quelli che contano per i partiti, più degli umori impalpabili, più delle cronache di giornali e Tv a cui talvolta sfuggono i movimenti più profondi. «Dalle nostre rilevazioni mensili emerge una crescita del Pd dalle europee di giugno a oggi. Una piccola cosa, circa tre punti, ma è un dato positivo». I numeri rincuorano. E ancora una volta vanno contro quel mainstream mediatico che parla di un distacco degli elettori del Pd e guarda scettico all'appuntamento del 25 ottobre. «E invece i sondaggi mostrano un'attenzione rilevante. Circa 3 milioni e 200mila persone dichiarano di voler andare a eleggere il segretario», ci racconta Pagnoncelli.
Simonetta Rubinato tira un sospiro. Se si potesse classificare, come in un catalogo di scienze, lei sarebbe un esemplare raro. Eletta sindaco per la seconda volta a giugno scorso in una terra ultra-leghista: la provincia di Treviso. Il suo Comune, Roncade, le ha dato ancora fiducia nonostante tutto. «Ho fatto una campagna elettorale quasi nascondendo che sono del Pd. Ho messo su una lista solo con il mio nome, mi sono conquistata il consenso andando a cercarmi le persone una ad una, scoprendo che spesso un artigiano fa più fatica ad arrivare a fine mese di un operaio. C'ho messo la mia faccia perché per loro il Pd è il partito di Antonio Bassolino e delle liti. Ma io gli ho mostrato un altro volto: quello che ha creduto nel Lingotto, che parla a tutti a prescindere, che non dice cose di sinistra o di destra ma solo di buon senso». È un fiume in piena Simonetta. Occhi verdi, bionda, quarantenne, conserva il gusto della politica quotidiana, pragmatica e anche un po' sentimentale. Per il suo sito del Comune di Roncade ha scelto una frase di Antoine de Saint-Exupery: «Se vuoi costruire una barca non radunare uomini per tagliare la legna e impartire ordini ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». Lei, durante il Governo Prodi, raccolse le firme nello stesso centro-sinistra contro Visco e gli studi di settore: «La spuntai, avevo ragione. Un partito che vuole essere popolare non può fare la guerra ai piccoli imprenditori, al Nord».
È l'effetto che fa il territorio. Produce una sintonia che è difficile trovare nella breve strada che va dalla sede del Pd romano a Montecitorio. E infatti l'immagine dei vertici di partito, quella che rimbalza negli specchi dei media, suggerisce metafore poco felici. Come quella di cui parla Giuseppe Culicchia, scrittore quarantenne, che ha raccontato Torino, città simbolo della sinistra, e la sua metamoforsi. «Mi viene in mente un'intervista rilasciata da Mario Monicelli. Disse: la sinistra è come gli albanesi, hanno visto le luci e le ballerine e sono saliti sulla nave». Una nave che fa rotta dove non dovrebbe. «Dove è finita la sinistra che tutelava il lavoro? La condizione dei precari è in fondo alla lista, l'emergenza ambientale è dimenticata, si parla di Rai e di poltrone mentre un mondo aspetta di essere rappresentato». Culicchia quel mondo lo vede nelle trasformazioni di Torino, lo sente in sè.
Come il filosofo Remo Bodei sente che l'ambizione che una volta attraversava la politica è diventata quasi disagio. «Il Pd deve rilanciare la politica come professione. Rilanciare l'idea della sua aspra bellezza. Dei suoi ideali e degli interessi: senza gli uni c'è corporativismo, senza gli altri c'è l'astrazione». Lui che ha dedicato tanta parte del suo pensiero alla politica, guarda questi anni con amarezza. «La delegittimazione cavalcata da Silvio Berlusconi con il suo slogan "il teatrino della politica" ha danneggiato tutti. Il Pd deve restituirle dignità tornando alle scuole di politica, selezionando una casse dirigente competente».
  CONTINUA ...»

4 Ottobre 2009
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