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Bersani: le imprese nel mio progetto

di Fabrizio Forquet

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6 Ottobre 2009

«Mi lasci partire da Giugni».

Doveroso.

È difficile sopravvalutare il suo ruolo nell'evoluzione civile e sociale di questo paese. È stato un caposcuola. Un riformista. Ha aiutato a civilizzare i rapporti di lavoro.

Bersani, finalmente è in arrivo il congresso. Dopo l'addio di Veltroni lei aveva auspicato che il partito sapesse tornare nelle fabbriche. Se le primarie confermeranno la sua maggioranza congressuale, comincerà da lì?

Il mio sarà un partito popolare in chiave moderna. Dobbiamo rivolgerci ai lavoratori, alla piccola impresa, alle famiglie, alle nuove generazioni. E per dare concretezza a questo approccio dobbiamo essere radicati e presenti laddove questo popolo vive. C'è un pezzo di Italia che è totalmente fuori dalla comunicazione. Dobbiamo arrivare anche a questa gente.

Come si fa?

Non è facile. Anche perché oggi c'è un nesso pericoloso tra questione democratica e questione socio-economica. Con la nomina sostanziale dei parlamentari abbiamo una continuità governo-maggioranza, che rende possibile avere 24 voti di fiducia e 45 decreti in un anno. C'è un rapporto di comando del governo sulla maggioranza e del premier sul governo che si traduce in una pressione formidabile sui soggetti sociali ed economici, compresa l'informazione.

Anche per lei c'è un problema di libertà di stampa?

Io lo dico in un altro modo. Il problema è che, se c'è un presidente del Consiglio che in un giorno può far passare qualsiasi cosa, si determina una situazione di ricatto permanente sulle parti sociali e sulla stampa.

Non è che l'opposizione non svolge a sufficienza il ruolo che le è proprio?

L'opposizione ha le sue debolezze, non lo nego. E sto lavorando perché non le abbia ancora a lungo. Ma qui il problema è che è il Parlamento ad essere mortificato nella sua funzione. Io sono d'accordo a farla finita con le finanziarie di una volta. Ma non si può dire: approviamo una tabellina e poi quando incasserò i soldi di un condono, farò un decreto con le misure vere. Non può funzionare così. Amartya Sen dice che la democrazia è utile all'economia perché attraverso la discussione pubblica si correggono per tempo gli errori della politica economica. L'economia non è una scienza previsiva, quando prevede fa molti errori.

Non è il primo a dirlo...

Già, Tremonti. Ma lui lo dice per poi fare tutto lui, senza sentire nessuno. Invece la scienza economica può fare molto per individuare gli strumenti per correggere gli errori. Solo che per farlo serve una discussione pubblica aperta e ricca. Magari con il Parlamento al centro. Ci vorrebbe una voce virile per dire: "ora basta"

In quella discussione lei cosa proporrebbe?

È un anno che chiediamo di muovere un po' di miliardi per animare l'economia. Nessuno ha ricette risolutive, ma serve buon senso. Servono un po' di soldi da spendere nelle tasche degli italiani che ne hanno meno. Servono investimenti in piccole opere che partono in sei mesi. Bisogna aiutare le Pmi che hanno investito negli ultimi due anni, dandogli una garanzia pubblica forte che non passi necessariamente per le banche. E ancora: innovazione per aiutare a fare prodotti nuovi e un piano sull'economia verde.

C'è chi ha proposto di abbattere la pressione fiscale sul lavoro, magari ricorrendo a una patrimoniale.

Le tasse sul lavoro vanno abbattute e togliere tutta l'Ici è stato improvvido. Ma non sbandiererò il tema della patrimoniale. Io vedo un'operazione di medio periodo: una Maastricht della fedeltà fiscale. Portare in Italia l'evasione a una distanza di non più di tre punti dalla media europea. È un processo di civilizzazione fiscale che va ottenuto con incentivi e sanzioni, premiando anche le categorie che migliorano il tasso di fedeltà.

  CONTINUA ...»

6 Ottobre 2009
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