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«Io, immigrato mi rimbocco le maniche e do una mano»

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La testimonianza del camerunense Mathias Mougoue

Io scelsi L'Aquila dal Consolato Italiano a Yaoundé in Cameroun, il mio paese d'origine esclusivamente per gli studi. Dalla città già prima di arrivare (quel 14 luglio 1992) non mi aspettavo altro. Giusto un posto tranquillo per studiare. Nonostante a L'Aquila, al contrario di quanto mi aveva lasciato intendere il Consolato, non esistesse una Facoltà di Scienze della Comunicazione o Scuola per Giornalisti (invece scoprii di essere iscritto a "Scienze dell'Informazione" ovvero "Informatica"), riuscii in breve tempo ad iscrivermi al corso di Laurea in Lingue, più consono alla mia preparazione Umanistica.

Ovviamente dopo gli Studi L'Aquila offre poco ma ho avuto la fortuna, grazie alle mie conoscenze linguistiche, di lavorare per la mia Università, il che mi permise dopo la laurea in lingue di laurearmi anche in Scienze della Comunicazione, poi successivamente in Culture per la Comunicazione (perché le mie tesi hanno sempre avuto a che vedere con l'antropo-sociologia). Tutti titoli conseguiti a L'Aquila prima del Master in "Studi Europei e Gestione di Progetti" ,completato a Bruxelles.

La mia fortuna sono stati gli studi. Più che accolto a L'Aquila, oltre alla terribile esperienza del pregiudizio, del rigetto e della discriminazione, mi sono "inserito". Esperienza televisiva (GF2) a parte, sento da residente nel Centro storico di L'Aquila di far parte dell'architettura della città da oltre 15 anni. Non è solo perché a l'Aquila ci conosciamo tutti, ma sento di conoscere persino i e di essere conosciuto anche dai sassi. La spiegazione paradossale sta nel fatto che l'Abruzzese si definisce come il suo ambiente naturale: misterioso, ostile, testardo, diffidente e fedele.

Si, la verità è che per quanto siano ostili e diffidenti l'Abruzzo e gli Abruzzesi, una volta che ti congiungi con il quadro geografico e trovi quella manciata di persone che ti amano e si fidano di te, sai di esserti guadagnato casa e famiglia per la vita e io in Abruzzo (i milanesi che conoscono il mio spasmodico attaccamento alla mia identità abruzzese lo possono confermare) ho casa e famiglia. Venni a 18 anni solo per gli studi universitari con il francese, l'inglese e il tedesco come lingue principali davanti alle 4 lingue camerunensi che parlo; nel frattempo sono passati 17 anni e ora ne ho 35. Ad oggi l'italiano da ottava è diventata la mia lingua principale, ma seconda per importanza.

Avevo come obiettivo immediatamente dopo gli studi di tonare subito in Africa ed esercitare il mio mestiere come giornalista. Dall'Università di L'Aquila poco prima della laurea in Lingue ho avuto la responsabilità per 10 anni di ricoprire la posizione di "Addetto alla Comunicazione Internazionale" presso L'ufficio Relazioni Internazionali. Oggi le cose cono cambiate ma tengo ancora al mio progetto di lavorare in Africa per L'Africa, forte della mia preparazione nel campo delle Relazioni Internazionali. Voglio occuparmi di Progetti Onu. L'università di L'Aquila che io ho rappresentato in giro per il mondo (Germania, Usa, Belgio…) è cresciuta molto e ha acquisito fama anche grazie al nostro lavoro. Abbiamo aperto miriadi di Accordi di Scambi Universitari in tutto il mondo culminati con l'impegno insieme al Rettore Ferdinando Di Orio per la costruzione d'un ospedale in Africa.
Ora non lavoro più per l'Università ma i contatti sono rimasti. Con il terremoto di Aprile, la storia dell'ateneo crollato insieme al nostro Ufficio ha accresciuto la nostra fama e mi è valsa di essere chiamato in causa soprattutto da Miami per ribadire che i nostri partner in giro per il mondo sono pronti a darci una mano per ripartire. Anche per volere dell'associazione degli Abruzzesi d'America, L'Università di L'Aquila sopravvivrà!
È vero che L'Aquila non è conosciuta come terra di immigrazione. È che il carattere ostico riservato e gentile degli Aquilani ha formato un tipo di immigrazione destinato a non balzare nelle cronache. È imbarazzante e frustrante il silenzio dei media sulla popolazione straniera terremotata. Ciò non dipende dalla popolazione indigena Aquilana con cui stiamo vivendo lo stesso disagio e sentiamo le stesse cose da tanto tempo. Forse quando si è laureati africani e mediorientali, badanti sudamericane o esteuropee e soprattutto pastori macedoni, non si è abbastanza appetitosi, sufficientemente disgraziati per essere annoverati nella catastrofe che ha rischiato di seppellire una città intera portando via tutti, autoctoni e stranieri.

Neanche i media stranieri che ho avvicinato mi hanno saputo spiegare questo silenzio. Pare (e questo me lo hanno rivelato i cittadini aquilani stessi) che al centro storico dove tutti si conoscevano manchino all'appello 80 tra persone anziane e stranieri. Nella mia cerchia si amici stranieri, ho rivisto e avuto notizie di quasi tutti; abbiamo goduto di tutti i privilegi e di tutte le cure riservate ai terremotati, nelle tendopoli come negli alberghi e nelle case di sostituzione sulla costa adriatica. Come tutti ci chiediamo se rivedremo le nostre case. E le nostre cose le riavremo un giorno? Dove le trasferiremo?

  CONTINUA ...»

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