Adesso che lo scrutinio delle schede elettorali è terminato lo potrà dire anche chi sta al governo: i prossimi anni non promettono niente di buono per l'economia italiana. Spiace doverlo ribadire ma un paese che si accontenta di crescere di qualche decimo di punto all'anno (magari dando la colpa alle statistiche che non colgono le peculiarità del sistema Italia) è destinato a un declino tanto rapido quanto inesorabile.
La recessione del 2009 (-5,1%) farà sentire i suoi effetti a lungo. I consumi delle famiglie saranno frenati dall'aumento del numero dei disoccupati e dal rischio, ancora incombente di perdere il lavoro. Gli investimenti delle imprese non decolleranno per l'incertezza delle prospettive interne e internazionali oltre che per la scarsità di credito. Il bilancio pubblico non ha potuto e non potrà sostenere la domanda perché troppo alto è il debito cumulato in passato. Il contributo delle esportazioni è limitato poiché solo in Asia la ripresa sta assumendo dimensioni consistenti.
I sondaggi realizzati dalla Ipsos per il Sole 24 Ore prima del voto hanno fatto vedere come agli elettori interessino questi temi: l'occupazione, lo sviluppo, la sanità, le pensioni, il bilancio delle famiglie. Molti si sono ribellati alla scarsezza di contenuti in campagna elettorale non votando. Altri hanno espresso la propria preferenza per una parte o per l'altra. Il centro- destra complessivamente ha tenuto bene, la Lega ha volato. Silvio Berlusconi ha ripetuto più volte una cosa giusta: «Comunque vada a finire per il governo non cambia nulla ». È vero: il suo mandato a gestire l'Italia dura ancora tre anni. Che tuttavia dovranno essere diversi dai primi due.
Perché se l'agenda della seconda parte della legislatura sarà ancora all'insegna delle leggi ad personam e delle risse da cortile con l'opposizione, Berlusconi darà ragione a chi non è andato a votare e prenderà in giro i numerosissimi italiani che gli hanno confermato la fiducia.
I tre anni di tregua elettorale che cominciano oggi sono un'occasione da non perdere. Berlusconi – e con lui il suo perplesso alleato Gianfranco Fini e il rampante Umberto Bossi – farebbe bene a mettere da parte la politique politiciénne da cui è stato, volente o nolente, travolto e a concentrarsi sul "fare". Ma fare davvero, non elargendo slogan. Quanto ai temi su cui esercitarsi, ha solo l'imbarazzo della scelta. Ecco un piccolo promemoria.
Il fisco. Sulle tasse è inutile prendersi in giro: la pressione fiscale non potrà diminuire per molti e molti anni. Raccontare favole può andar bene in campagna elettorale, poi però basta. Eppure, anche a pressione fiscale invariata, molto si può fare per migliorare la situazione. In primo luogo semplificando, riducendo il numero degli adempimenti e l'efficienza della macchina amministrativa. Inoltre combattendo l'evasione e l'elusione perché il recupero di base imponibile consente di distribuire meglio il carico delle imposte tra chi le paga e chi no.
La previdenza. Ci deve essere un malinteso alla base della stizza con cui si è fin qui reagito alla richiesta di una riforma delle pensioni. Nessuno vuole affamare gli anziani e nemmeno i futuri pensionati. Si chiede solo che, dato l'aumento dell'aspettativa di vita, si adegui l'età di uscita dal lavoro. L'hanno fatto molti paesi, dalla Germania alla Gran Bretagna. Berlusconi ha posto la questione sul tavolo del Consiglio europeo. Quanto meno è necessario introdurre una maggiore flessibilità che lasci al singolo la possibilità di scegliere. Questo non vuol dire che le numerose riforme fatte negli ultimi 18 anni non sono sufficienti. Ma non si vede perché si debba rinunciare a recuperare per questa strada risorse preziose per lo sviluppo.
La sanità. Dove funziona (al Nord) costa anche poco rispetto agli standard europei. Il problema è da Roma in giù: la sfida è nel Mezzogiorno dove bisogna conciliare il contenimento della spesa con una una migliore qualità dei servizi. Il federalismo sarà di grande aiuto se porterà all'introduzione di parametri per la determinazione dei costi e dell'efficienza, con controlli severi e sanzioni per chi non riesce a rispettarli.
Le infrastrutture. È bene non farsi troppe illusioni: ci sono pochi margini per la spesa pubblica. Sarà quindi importante scegliere bene dove concentrare le risorse disponibili. E sforzarsi di mobilitare, per quanto possibile, i capitali privati: ad esempio, nella realizzazione della rete a banda larga oppure nelle autostrade al Nord. Il Ponte sullo stretto di Messina probabilmente prosciugherebbe tutti i fondi pubblici disponibili per anni: è una scelta impegnativa che andrebbe motivata con rigore. Qualcuno potrebbe obiettare che sarebbe stato meglio destinare quei soldi all'Alta velocità ferroviaria tra Milano e Venezia.
L'occupazione. Ottocentomila posti di lavoro perduti e 334mila persone in cassa integrazione. Sebbene l'impatto della recessione sulla disoccupazione sia stato meno forte in Italia che negli altri paesi, sono cifre che non si possono trascurare. Per invertire la tendenza bisogna, da un lato, mettere le imprese in condizione di investire e di crescere agendo su tutti i fattori che incidono sulla produttività. Ma occorre anche che il sistema degli ammortizzatori sociali contribuisca a minimizzare la durata dell'esclusione dal mercato del lavoro attraverso la formazione e gli strumenti che consentono di far incontrare domanda e offerta.
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