«L'Italia si conferma un paese che, nella sua larga maggioranza, non si affida alla sinistra, o meglio a quel che resta di una sinistra di matrice comunista, che si ripresenta largamente minoritaria soprattutto nelle aree più ricche e dinamiche». Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, guarda scorrere i dati provvisori che danno il successo del centro-destra in Campania e Calabria, e che fotografavano un testa a testa (che a tarda notte s'avvicinava alla vittoria; ndr) in Piemonte e Lazio. «Vedremo nei prossimi giorni i dati sui flussi, i luoghi dell'astensione. Ma il carattere generale di questo voto, che è arrivato al termine di una campagna di aggressione politica, mediatica e giudiziaria che non ha precedenti contro il presidente del consiglio e la sua maggioranza, rappresenta una conferma per l'azione di governo che è stata messa in campo in questi primi due anni di legislatura».
Ministro, lei parla di aggressione. Di sicuro l'astensionismo elevato rivela un disorientamento dell'elettorato moderato.
In parte è andata così e a beneficiarne è stata anche la Lega, meno esposta del partito del presidente del Consiglio, che ha funzionato da parafulmine. La Lega ha peraltro conquistato voti popolari dalla sinistra.
Che domanda di governo esce da questo voto?
Da queste elezioni arriva innanzitutto una richiesta generale di sicurezza, che comprende tanto una rigorosa disciplina di bilancio quanto la garanzia del reddito per i lavoratori in difficoltà. Così come credo sia stata premiata anche la risposta che è stata data su temi come l'immigrazione in termini di integrazione nella più rigorosa legalità. Insomma, individuo nel voto della maggioranza degli italiani, al di là della contabilità delle regioni, la conferma dei contenuti dell'azione di governo dopo due anni di crisi economica senza precedenti. La stessa cosa non è successa altrove in Europa.
Quindi l'agenda di governo della crisi non cambierà.
Esatto. Continueremo a garantire la tenuta dei conti: la sindrome greca lo insegna inequivocabilmente. La linea di messa in sicurezza del debito non cambia: abbiamo a che fare con mercati che hanno grande diffidenza dei titoli pubblici dietro i quali non c'è rigore di bilancio e una Ue che ripropone i suoi vincoli di stabilità.
Entro il 2011 l'Italia dovrà garantire risparmi per 1,2% del Pil.
Sì e i nostri paletti non cambiano, lo dico soprattutto alla sinistra che finora ha avanzato solo proposte di maggiore spesa.
Insieme al rigore di bilancio nei prossimi tre anni c'è l'appuntamento del federalismo fiscale con i decreti attuativi.
Il federalismo fiscale significa innanzitutto il passaggio alla responsabilità dei bilanci regionali. Per questo lo realizzeremo con il corollario della deterrenza del fallimento politico, già in parte contenuto nella delega del federalismo e in parte nel Ddl anti-corruzione. Una deterrenza che s'è rivelata solo in parte efficace nella gestione della sanità: quando si esce dai parametri di bilancio deve scattare il commissariamento, il ritorno al voto e l'ineleggibilità degli amministratori falliti.
Poi c'è la riforma del fisco
Anche in questo caso si procederà gradualmente: il cantiere che ha annunciato Tremonti sposterà la tassazione dal reddito delle persone e delle imprese alle cose e ai consumi. Con la necessaria attenzione all'equilibrio di finanza pubblica.
E gli ammortizzatori sociali?
Noi garantiremo ancora il carattere straordinario degli strumenti di protezione del reddito finché permane la crisi sociale. Bisogna infatti tener conto che la riforma di domani pretenderà per tutti una base assicurativa, obbligatoria o volontaria. Ma per il momento dobbiamo mantenere l'attuale cassetta degli attrezzi che è flessibile e ampia e garantisce tutti i lavoratori. Le dico invece cosa non ci sarà.
Dica.
Non useremo i prepensionamenti: sono stati discutibilmente fatti in passato quando ci furono crisi sociali concentrate territorialmente. Oggi non è così, la crisi è diffusa e colpisce i settori e i territori più diversi.
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