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Il primo discorso del 44° presidente

traduzione di Fabio Galimberti

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Dovunque guardiamo, c'è lavoro da fare. La situazione economica impone di agire, con audacia e abilità, e noi agiremo, non solo per creare nuovi posti di lavoro ma per gettare nuove basi per la crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche e le reti digitali che alimentano i nostri commerci e ci legano tra di noi. Restituiremo alla scienza il posto che le compete, e sfrutteremo le meraviglie della tecnologia per innalzare la qualità delle cure sanitarie e abbassarne i costi. Imbriglieremo il sole, i venti e il suolo per far muovere le nostre automobili e far lavorare le nostre officine. E cambieremo le nostre scuole, i nostri college e le nostre università per rispondere alle esigenze di una nuova era. Tutto questo lo possiamo fare. E tutto questo lo faremo.
C'è chi mette in dubbio la portata delle nostre ambizioni, chi sostiene che il nostro sistema non può tollerare troppi piani ambiziosi, ma hanno la memoria troppo corta, perché hanno dimenticato quello che il nostro paese ha già fatto in passato, quello che uomini e donne liberi sono capaci di fare quando l'immaginazione si accompagna a un obbiettivo comune, e la necessità al coraggio.
Quello che i cinici non capiscono è che ormai manca loro la terra sotto i piedi, che le trite argomentazioni politiche che per tanto tempo ci hanno consumato non sono più applicabili. La domanda che vi poniamo oggi non è se da noi ci sia troppo Stato o troppo poco Stato, ma se questo Stato funziona, se aiuta le famiglie a trovare un lavoro con un salario decente, ad avere cure che si possono permettere, una pensione dignitosa. Se la risposta è sì, noi vogliamo andare avanti, se la risposta è no, chiuderemo quei programmi. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico saranno chiamati a rendere conto, a spendere con saggezza, a cambiare le cattive abitudini e a fare i nostri affari alla luce del giorno, perché solo così potremo ripristinare la vitale fiducia nel governo da parte della gente.
E la domanda non è neanche se il mercato sia una forza positiva o negativa. Il suo potere di generare ricchezza ed espandere la libertà non ha paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento il mercato può sfuggire al controllo e che una nazione non può prosperare a lungo se favorisce solo chi già e ricco. Il successo della nostra economia è sempre dipeso non soltanto dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall'estensione della nostra prosperità, dalla nostra capacità di estendere le opportunità a ogni persona volenterosa, non per carità ma perché è la strada più sicura per il bene comune.
Per quel che riguarda la difesa, noi rigettiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali: i nostri padri fondatori, posti di fronte a pericoli che noi riusciamo appena a immaginarci, hanno redatto una carta per garantire lo Stato di diritto e i diritti degli uomini, una carta che è stata allargata con il sangue di generazioni. Quegli ideali sono ancora una luce per il mondo e noi non vi rinunceremo per ragioni di opportunismo. E dunque, a tutti gli altri popoli e governi che oggi ci stanno guardando, dalle capitali più maestose al piccolo villaggio dove nacque mio padre, diciamo: sappiate che l'America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti nuovamente ad assumere la leadership.
Ricordate che la vecchia generazione abbatté il fascismo e il comunismo non soltanto con i missili e con i carri armati, ma con solide alleanze e salde convinzioni. Loro capirono che la nostra potenza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come crediamo. Sapevano al contrario che la nostra potenza cresce se ne facciamo un uso prudente, che la nostra sicurezza nasce dalla giustezza della nostra causa, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità temperanti dell'umiltà e del ritegno.
Noi siamo i custodi di quell'eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, saremo in grado di rispondere a quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora più grandi, una cooperazione ancora più grande e la comprensione tra le nazioni. Cominceremo col lasciare responsabilmente l'Iraq alla sua gente, e col forgiare in Afghanistan una pace guadagnata a duro prezzo. Con vecchi amici ed ex nemici, lavoreremo instancabilmente per mitigare la minaccia nucleare e per allontanare lo spettro del riscaldamento del pianeta. Non chiederemo scusa per il nostro modo di vivere, e non esiteremo a difenderlo, e a coloro che cercano di portare avanti i propri scopi creando terrore e massacrando gli innocenti noi diciamo loro che il nostro spirito è più forte e non può essere spezzato: resisteremo più a lungo di voi e vi sconfiggeremo.
Perché noi sappiamo che il nostro patrimonio così mescolato è una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti, e anche di non credenti. Siamo stati plasmati da ogni lingua e cultura, venuta qui da ogni angolo della Terra; e avendo assaggiato l'amaro calice della guerra civile e della segregazione, ed essendo emersi da quel buio capitolo più forti e più uniti, non possiamo fare a meno di credere che gli odi antichi prima o poi passeranno, che i confini tribali si dissolveranno rapidamente, che man mano che il mondo diventa più piccolo, la nostra umanità comune si rivelerà e che l'America dovrà giocare il suo ruolo per farci entrare in una nuova era di pace.
  CONTINUA ...»

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