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Clima nel vortice dei numeri

di Marco Magrini

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7 dicembre 2009

È come fra il dire e il fare. Fra le parolee i numeri,c'è di mezzo il mare.L'incerto futuro del «più importante trattato internazionale dal dopoguerra a oggi», come Lord Nicholas Stern ha definito l'intesa che il vertice di Copenhagen dovrebbe par-torire, resta appeso a un fatale divario fra le lettere dell'alfabeto e il sistema decimale A parole, non c'è governo del mondo che neghi l'esistenza di un grave problema climatico, causato dall'abitudine umana di pescare il carbonio fossile da sottoterra e di spargerlo nella stratosfera. Ma quando si parla- invece che con le lettere con i numeri, tutto cambia.
La scienza non ha dubbi, sull'innata capacità dell'anidride carbonica di trattenere la radiazione infrarossa del pianeta, ma le incertezze sulle previsioni, e quindi sui numeri, lasciano spazio a diverse interpretazioni. I Paesi del mondo che da domani, per due settimane, siederanno al tavolo delle trattative, a conti fatti devono solo concordare su dei numeri: in quali percentuali tagliare le rispettive emissioni di gasserra, entro quale anno, con quale ripartizione fra nazioni industrializzate e in via di sviluppo, nonché quanti miliardi di dollari sborsare per finanziare la monumentale operazione. Peccato che, sin qui, nessuno abbia voluto parlare di soldi. E peccato che le disparità delle rispettive offerte numeriche di tagli alle emissioni – con una virtuosa Europa cinque volte più volenterosa dell'America sprecona – non depongano a favore di un imminente accordo.
Così, per capire il garbuglio del summit Onu che va a cominciare, non c'è nulla di meglio che parlare di numeri.

La temperatura media del pianeta è salita di 0,7 gradi centigradi , dall'inizio del Novecento a oggi. I 2.500 scienziati dell'Ipcc, la massima autorità climatica di cui il mondo dispone, sostengono che nel 2100 la variazione potrebbe arrivare, a seconda delle future politiche di controllo delle emissioni, fino a 1,6 gradi , ma anche fino a 6 . Siccome gli stessi esperti sostengono che già oltre quota 2 gradi ci si possono aspettare effetti altamente indesiderati, arrivare a 6 equivarrebbe a diseredare i nostri pronipoti dalla Terra.

Tutta colpa della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera: prima della rivoluzione industriale erano 280 parti per milione ( ovvero 280 molecole di CO2 ogni milione di molecole) e oggi sono sopra alle 390 . Secondo l'Ipcc, scavalcare quota 450 ppm significherebbe superare, già a metà secolo, la soglia dei 2 gradi.
La ricetta? Tagliare di almeno il 50% le emissioni, da qui al 2050 . Non rispetto alle 31 milioni di tonnellate di CO2 emesse quest'anno dai combustibili fossili, ma rispetto alle circa 20 del 1990 , che è l'anno zero della diplomazia climatica.

Il mondo ha consumato quest'anno circa 32 miliardi di barili di petrolio, 3,1 miliardi di tonnellate di carbone, 2.600 miliardi di metri cubi di gas naturale. Secondo l'Aie, la domanda globale di energia crescerà del 55%, da qui al 2030. In questi venti anni, si stima che l'infrastruttura del sistema energetico mondiale richederà 26mila miliardi di dollari di investimenti, oltre la metà dei quali nei paesi in via di sviluppo. Ma se il mondo non riesce a dirigere questi investimenti verso le energie carbon-free, nel 2050 le emissioni saranno salite del 50%, piuttosto che diminuite.

Prima ancora di sedersi nella sala plenaria del Bella Center di Copenhagen, la maggior parte dei paesi industrializzati ha già annunciato le ambizioni percentuali dei propri tagli alle emissioni, nel medio periodo. L'Europa,con il suo piano 20 20-20 entro il 2020 (-20% di CO2, +20% di efficienza energetica, 20% dei combustibili da fonti rinnovabili) resta la paladina della lotta ai cambiamenti climatici.

Barack Obama ha virato di 180°? dalle posizioni di Bush e, nonostante il Senato non abbia intenzione di approvare la sua legge, il presidente promette di voler tagliare del 17% le emissioni da qui al 2020 . Quasi quanto l'Europa. No, perché Obama prende a riferimento il 2005 . Rispetto al 1990 ( usato dall'Europa), la concessione di Washington si ferma intorno al 4% .
La Cina è tutt'altra cosa. Siccome ha cominciato molto, molto più tardi, a sommare anidride carbonica nell'atmosfera, è stata sin qui esentata da qualsiasi impegno. Però i conti parlano chiaro: nonostante le emissioni procapite cinesi siano un quarto di quelle americane e la metà di quelle europee, le previsioni sulla crescita economica lasciano poco scampo. Hu Jintao non offre tagli, ma solo di ridurre l'intensità energetica del 40-45% entro il 2020.Traduzione:mentre l'economia crescerà al galoppo, i cinesi investiranno in nuove energie e nell'efficienza, in modo di sganciare la crescita delle emissioni da quella del Pil.

Poi il Giappone del nuovo premier Hatoyama si è lanciato in una coraggiosa offerta: un taglio del 25% . Il Brasile addirittura un 38% , per la metà ricavate da un freno alla deforestazione amazzonica (soprattutto se a Copenhagen si troverà, cosa piuttosto facile, un accordo sui finanziamenti per milardi di dollari ). E l'India,nonostante non voglia neppur sentir parlare di obblighi, ha appena annunciato di voler fare come la Cina. Ma solo al 20 25%. Senza dimenticare un numero fondamentale: quello del prezzo del carbonio.

  CONTINUA ...»

7 dicembre 2009
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