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Usa e Ue condannati all'intesa

di Stuart Eizenstat

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8 novembre 2009

Il presidente Barack Obama ha definito il cambiamento del clima una delle sfide più importanti della nostra epoca e sta esercitando pressioni per far approvare una legge che instauri il sistema cap-and-trade a livello interno; allo stesso tempo sta cercando di dare nuovo impulso all'impegno degli Stati Uniti nei negoziati delle Nazioni Unite.
Questo atteggiamento diverso non significa che Usa e l'Ue adesso siano d'accordo su come contrastare il cambiamento del clima. Malgrado una convergenza di massima su obiettivi a lungo termine - una riduzione prossima all'80% delle emissioni di biossido di carbonio entro il 2050 -, sussistono ostacoli non indifferenti da superare e per entrambi è necessaria una vera leadership per evitare che a Copenhagen si rischi l'insuccesso.

Unione europea e Stati Uniiti partono da posizioni molto diverse. Quando l'Ue ratificò il Protocollo di Kyoto, si impegnò a tagliare entro l'anno 2012 le emissioni di CO2 nella misura dell'8% rispetto ai livelli del 1990. Gli Usa non sottoscrissero gli impegni di Kyoto, e già nel 2005 le loro emissioni di gas serra di fatto aumentarono del 19% rispetto al 1990, mentre le emissioni degli allora 15 paesi dell'Ue nello stesso periodo aumentarono dell'8%.
Uno sguardo più attento alle cifre dimostra che buona parte della performance dell'Ue non è dovuta a pianificazione. Poiché il punto di riferimento del 1990 assunto a Kyoto coincideva con la riunificazione della Germania, le emissioni della Germania Est di fatto poterono essere incluse nei dati di riferimento iniziali dell'Ue. In quegli stessi anni cambiò anche la politica energetica britannica, che passò dallo sfruttamento del carbone all'uso di gas naturale del Mare del Nord. Se Regno Unito e Germania fossero escluse dai dati rilevati nel periodo 1990-2005, le emissioni dei 13 paesi Ue risulterebbero aumentate del 24%.

Ne consegue che la differenza principale tra Usa e Ue non è l'adesione al Protocollo di Kyoto e non sono nemmeno le politiche per il clima varate in Europa, bensì fattori esterni. L'Agenzia europea per l'ambiente sostiene che l'Ue rispetterà gli obiettivi che si è prefissata alla scadenza del 2012. Per riuscirci, però, l'Ue dovrà ricorrere alla riforestazione e ad altri meccanismi stabiliti a Kyoto - come lo scambio commerciale dei permessi di emissione - ai quali in origine l'Ue si era opposta.
Secondo: gli obiettivi di riduzione delle emissioni proposti dall'amministrazione Obama sono il massimo che il Congresso sarà disposto a sottoscrivere, in ogni caso ben lontani dall'impegno assunto dall'Ue. Nel budget federale di Obama si fissa la soglia delle riduzioni intorno al 14% rispetto ai livelli del 2005 da raggiungere entro il 2020, con un taglio dell'83% da concretizzare entro il 2050. La legge Waxman-Markey, approvata con esiguo margine di vantaggio dalla Camera nell'estate del 2009, in sostanza adotta le linee volute dalla Casa Bianca. Ma la legge che il Congresso finirà per approvare avrà obiettivi meno ambiziosi. Gli Stati Uniti sono quindi arrivati alla conferenza di Copenhagen con propositi e un punto di riferimento diversi da quelli europei.

L'Ue deve anche considerare che una compatta falange di senatori americani è decisa a stroncare qualsiasi legge vincolante obbligatoria sul clima e che la crisi globale ha creato lo scenario peggiore per gravare con un ulteriore onere finanziario le aziende e le famiglie. Io credo che il Congresso finirà con approvare una legge con cap-and-trade obbligatorio, ma è verosimile che ciò avvenga l'anno prossimo e che si tratti di qualcosa di inferiore agli obiettivi dell'Ue. Oltretutto, a Copenhagen Obama difficilmente accetterà un accordo vincolante che fissi obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli stabiliti dal Congresso. Né l'Amministrazione riuscirà a raccogliere un supporto di due terzi di voti del Senato a favore di un accordo post-Kyoto senza un parallelo impegno altrettanto vincolante da parte di Cina e India. La Cina si è già imposta rigidi parametri energetici a livello interno, ma non sarà d'accordo a firmare ancor più restrittivi target di riduzione delle emissioni. Esiste il rischio che lo scotto da pagare per far approvare una legge interna Usa cap-and-trade possa consistere in sanzioni commerciali da applicare ai paesi emergenti che inquinano di più e rifiutano di accettare limiti obbligatori più restrittivi.

Ci sono modi per evitare un conflitto tra Ue e Usa a Copenhagen. Un contatto continuo con i massimi funzionari dell'amministrazione Obama aiuterà l'Unione europea a comprendere le concessioni possibili, e sforzi concertati tra Ue e Usa si riveleranno essenziali per persuadere i paesi in via di sviluppo come Cina e India a dare un loro contributo sostanziale per il raggiungimento di un'intesa. Il problema non è solo della concorrenza tra aziende americane ed europee: per evitare che si verifichino aumenti della temperatura pericolosi è indispensabile che i paesi in via di sviluppo prendano serie iniziative.

  CONTINUA ...»

8 novembre 2009
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