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REPORTAGE

I templi di Angkor tra storia e magia

di Marco Barbonaglia

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10 novembre 2009

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Quando Pol Pot prese il potere, il Paese venne chiuso al resto del mondo. E tutto si fermò anche qui: i lavori di restauro, la creazione di nuove vie e sentieri che permettessero di muoversi da un tempio all'altro. Negli anni '80 ci pensò la guerra civile a tenere tutti alla larga e il vero rilancio turistico iniziò solo sul finire degli anni '90. Per questo ancora oggi, pur non mancando i visitatori, né le strade e i mezzi per percorrerle (dalle auto, ai tuk-tuk, dalle biciclette agli elefanti) Angkor non è ancora preda di un turismo di massa vero e proprio, soprattutto in un periodo di bassa stagione come questo.

L'atmosfera magica che avvolge l'aerea non si è rotta, almeno per ora, anche se fuori da ogni tempio, decine e decine di cambogiani attendono, pazienti, il viaggiatore. Tentano di vendere qualunque cosa: una bottiglia d'acqua, qualche souvenir, una maglietta, una noce di cocco, una statuetta, un cappello. La povertà spinge centinaia di persone (decisamente troppe rispetto al numero di turisti) qui, dove arrivano i ricchi viaggiatori, che in questi mesi sono quasi tutti cinesi.

Dalla cime dei monumenti si sente, allora, una sorta di litania. Sono i proprietari dei chioschi e gli ambulanti (in particolar modo donne) in lontananza che paiono quasi chiamarsi e rispondersi tra loro. "Helloooo siiir!" " Water Siiir", "T-shiiiirt, siiiiir".

Non sono mai troppo insistenti, però. La miseria non priva questa gente di un'innata dignità e di una rara cortesia. I cambogiani sanno essere garbati, discreti e sorridenti perfino quando chiedono la carità, figurarsi quando cercano di vendere qualcosa.

Tutto costa poco, qui, ma mai meno di un dollaro. Perché la gente non usa la propria moneta con gli stranieri e, persino i bancomat, distribuiscono soltanto soldi americani. I riel vengono utilizzati per dare il resto e si possono riciclare quando il prezzo di qualcosa non è "intero" e comprende anche dei centesimi di dollaro. E' un sistema un po' complicato, soprattutto pensando che al confine con la Thailandia girano anche dei bath, ma i cambogiani sono abituati così. Insomma, dove Pol Pot aveva vietato, poco più di trent'anni fa, l'utilizzo della moneta, oggi circolano e si usano almeno tre valute. Un altro paradosso cambogiano…

Sono ore ormai che la pioggia ha smesso di cadere ma i fiumi sono usciti tutti dagli argini. Le strade sono diventate canali, invase da mezzo metro d'acqua. Miracolosamente i conducenti di tuk-tuk riescono a muoversi lo stesso senza far spegnere le motociclette. Come facciano, per me, rimane un mistero mentre avanziamo lentamente, incappando nelle invisibili buche coperte dall'acqua e dal fango, rischiando di rovesciarci ogni cento metri.

Per accedere ad alcuni templi, come il fantastico Ta Prohm con le radici immense che coprono le rovine, bisogna immergersi fino alle ginocchia nelle acque paludose della giungla ma lo spettacolo vale qualsiasi sacrificio.

Chi si gode di più la situazione sono i bambini pronti a fare il bagno in quelle che per loro sono delle piscine naturali spuntate un po' ovunque. Mentre cerco di guadare una pozza particolarmente profonda, mi si avvicina, appunto, una bimba.

- Acqua, signore, una coca cola? Compra una maglietta.- Mi guarda, supplicandomi con gli splendidi occhietti furbi e un sorriso complice.
-No, grazie- rispondo ricambiando il sorriso.
- Magari dopo?-
- Va bene, dopo può darsi.- annuisco sovrappensiero.
- Ok- mi fa lei- se dopo, però, non comprerai niente mi farai piangere- e dopo una breve pausa aggiunge additandomi- Mi ricordo il tuo volto-

Mi ha incastrato. So che mi aspetterà all'uscita dal tempio, sono sicuro che mi riconoscerà e che le comprerò qualcosa. Mi guarda ancora sorridendo, come stesse giocando. Potrà avere dieci anni al massimo. In fondo, anche se ha davvero bisogno di soldi, tutto questo (aspettare le persone, riconoscerle, fare a gara con le amiche a chi vende qualche maglietta in più) per lei è anche un gioco. Uno dei pochi oltre ai tuffi con i coetanei nell'acqua torbida portata dall'alluvione. Deve esserlo. Perché questo è l'unico modo per ricordarsi, ogni tanto, di essere una bambina.

10 novembre 2009
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