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di Carlo Genta

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Roberto Donadoni e Antonio Cassano (Afp)

Nel '60 furono prove generali di Europeo e non ci andammo: non iscritti, in buona compagnia con altre superpotenze del Vecchio Continente. Tutti insieme alla finestra. Nel '64 fu l'Armata Rossa a falciarci e martellarci nei quarti di finale. Rivincita con lauti dividenti quattro anni dopo: festa grande per l'unica eurovittoria azzurra. Nel '72 l'appiccicoso Belgio ci accompagnò all'uscio nei quarti. Da dimenticare anche l'edizione successiva coi gironi di qualificazione invalicabili per gli azzurri vice campioni del mondo. Nell'80 l'Europeo ce lo organizzammo a domicilio: non andò benissimo in un gironcino il solito Belgio: per noi fu solo la finale dei perdenti con la Cecoslovacchia e una interminabile serie di rigori chiusa dall'errore di Collovati al 17° tiro (fu anche l'inizio della psicosi da dischetto). Nell' '84 da campioni del mondo in carica guardammo l'Europeo alla tv, incapaci di qualificarci. Poi ci fu l'edizione dell'Olanda dei nostri Gullit e Van Basten. Stava nascendo l'Italia di Vicini, col chiodo fisso dei Mondiali di casa di lì a due anni. Fu la Russia a sbatterci fuori in semifinale, ma per Vialli, Mancini e tutti i prodotti di una meravigliosa Under 21 furono applausi impregnati di fiducia. Le pernacchie arrivarono puntuali quattro anni dopo, per lo stesso Vicini e per quella stessa squadra a fine ciclo che non toccò il traguardo minimo della qualificazione: ancora una volta sulla strada azzurra un meteorite derivato dal big bang della vecchia Urss, la Comunità degli stati indipendenti (CSI). Baggio-Zola-Del Piero, mille dubbi, un girone difficile, troppa attesa forse, il rigore sbagliato da Zola contro la Germania e soprattutto il primo, controverso, Sacchi ct: finì prestissimo anche l'Europeo inglese.
Il resto è storia di ieri (2004 col Trap in Portogallo e il biscotto scandinavo con troppo burro, fuori come ramazze nel primo girone) e dell'altroieri (2000 finale con la Francia, gli errori, il golden gol dell'ingrato Trezeguet, Zoff e Berlusconi e la marcatura di Zidane e non fateci dire altro che ci salta ancora la mosca al naso…).
Poi la vita è adesso.

IL CT RAGAZZINO – Nel navigare il fiume delle speranze, ci va di partire proprio dal ct, perché la dinamica di questo rapporto è strana e inedita. Lecco, Genoa e Livorno non sono il normale biglietto da visita di un commissario tecnico, anche se la carriera da giocatore è stata scritta con punta d'oro. Tanto che molti – compreso chi scrive – hanno storto il naso ai tempi, in verità strani, della nomina. Donadoni è stato però bravo, umile e intelligente nel capire che quel gruppo così forte, stretto intorno alla Coppa del Mondo, aveva bisogno di un fratello maggiore più che di un condottiero carismatico. Cosa che Roberto non è. Così passando per l'inutile e pessimamente gestito casino-Totti, per l'addio di Nesta, per la legnata di Parigi, Donadoni è cresciuto insieme e più di una Italia che continua a vivere sulla personalità e sulla leadership riconosciuta dei campioni del mondo. In quel gruppo Roberto è infine entrato, quasi in punta di piedi e si è costruito il ruolo di ct credibile, soprattutto agli occhi dei giocatori. E' un equilibrio curioso, siamo i primi a pensarlo e a dirlo, ma funziona. Ed è il caso di fidarsi.

IL NUMERO UNO – Qualche tempo fa parlavamo con Marcello Lippi e il discorso vagava tra le gioie mondiali fino a scivolare sulla vera strettoia che gli azzurri hanno dovuto attraversare in Germania: il quarto con l'Australia. Diceva l'ex ct: "Non voglio stare a discutere su quel rigore, se c'era o no, tanto ormai l'ha dato… Cosa fece quel giorno l'Australia? Un tiro in porta? E pensate che possa bastare questo per fare un gol a Buffon? Ci vuole molto ma molto di più". Ha ragione Marcello. Gigi Buffon è semplicemente il portiere numero uno al mondo. Così grande che ormai dove non arrivano le mani o i piedi, arriva il carisma: quante volte abbiamo visto una palla avvelenata diventare di gesso tra i piedi dell'attaccante che si trova Gigi davanti. Non riusciamo piuttosto a levarci un tarlo dal cervello: a roderci è quella schiena che scricchiola, addirittura in fiamme a un certo punto della stagione, tanto da toglierlo alla Juventus in un momento molto delicato. Sarà suggestione o timore, ma di lì in poi non ci è più sembrato un Buffon sciolto e a suo agio, perfino nei gesti più semplici come raccogliere un pallone da terra o calciarlo via. Ma forse siam troppo apprensivi. Caso mai ce ne fosse bisogno, comunque Marco Amelia e un campione del mondo e una garanzia, anche se reduce da una stagione disgraziata. Di Morgan De Sanctis, portiere che ci è sempre piaciuto un sacco, abbiamo un po' perso le tracce da che si è trasferito a Siviglia. Confessiamo che non avremmo visto male l'idea Toldo, un po' chioccia un po' feticcio di un Europeo meraviglioso che, basta leggere sopra, non ci è ancora andato giù.

QUI COMANDA IL CAPITANO – In difesa dormiamo tra cuscini di piume: questo è il regno del capitano. Fabio Cannavaro al comando di quella che è quasi una task force a se stante: è la trincea mondiale con Barzagli o Materazzi, che in azzurro e senza nero è l'impeccabile Dr Jekill, quasi al netto delle trasformazioni, con Zambrotta e Grosso. Qui Donadoni è stato bravissimo a chiudere il cerchio perfetto: Giorgio Chiellini è stato uno dei difensori più redditizi della stagione, ha esperienza azzurra sufficientemente profonda che parte dalla Under di cui è stato capitano, è eclettico come pochi, tanto che lui, nato in fascia sinistra, ha giocato da centrale le partite migliori nel campionato appena chiuso. Poi Panucci che porta il mare della sua esperienza e il sale della gratitudine verso l'amico e vecchio compagno ct che lo ha, alla fine, sdoganato dal limbo. Cristian, che a un certo punto non ci sperava più, lo sa benissimo: questo è l'ultimo giro sull'Olimpo delle nazionali, il giro d'onore e il sigillo a una grande carriera.

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