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Sempre su Merckx, qualche malalingua, visto che correvate insieme nella "Faema" scrisse che era "un mondiale che sa di caffè", alludendo al fatto che il belga non si sia ammazzato per rincorrerti. Te la sei presa?
«Fu Giovanni Mosca a scrivere quel corsivo. Ma io non ho mai fatto caso a queste cose. Quella di Imola fu una vittoria bellissima ottenuta in una grandissima giornata di grazia davanti al mio pubblico. Poi Merckx lo conoscete: amico o no, lui vuol sempre vincere. In Belgio, in un circuito, andò subito in fuga e ci doppiò. Dopo aver ripreso fiato, partì di nuovo come un razzo. E gli gridammo: Eddy, hai già vinto, dove vai? Non ci sentì nemmeno».
Pacato, e dalla parola facile, Vittorio Adorni fu anche un precursore nel modo di presentarsi. Sapeva bucare lo schermo, come si dice in gergo, e la tv se ne accorse facendogli fare il presentatore di un programma di gran successo, Ciao Mamma, con Liliana Orfei. Sergio Zavoli, nel Giro d'Italia del 1965, lo invitava quasi sempre al Processo alla Tappa.
Insomma, Adorni, ti piaceva fare la star. Hai anticipato i tempi?
«Beh, fu un grande Giro quello che vinsi nel 1965. Zavoli, dopo il mio successo di Medesimo, mi fece stare davanti alle telecamere per oltre un'ora. Il ciclismo da quel momento entrò definitivamente nelle case degli italiani. Poi in quegli anni c'erano personaggi incredibili. Forse adesso ce ne vorrebbero di più. Spero molto in Bettini, a Varese, anche perché farebbe la tripletta. E poi perché è davvero un grande».
Ultima cosa, meno allegra. Rispetto ai tuoi tempi il doping rischia di uccidere in tutti i sensi questo sport. Che cosa pensi?
«Penso che sia un dramma, anche se si sta facendo molto per limitarlo. Penso che oltre alle squalifiche, che devono essere pesanti fino alla radiazione, bisogna colpire i colpevoli con multe salatissime. Chi non è sensibile all'etica, state tranquilli, lo è molto di più al portafoglio».