Tanta Europa - Inghilterra e Francia soprattutto - in questa Coppa d'Africa, ma poca Italia. Sono otto i giocatori della serie A di ritorno a casa e che parteciperanno alla 27a edizione del torneo, già così vessato dai morti e dalla paura (è di venerdì l'attentato all'autobus del Togo). Sono Eto'o (Inter), Adiyiah (Milan), Asamoah, Badu (Udinese), Sissoko (Juventus), Diamoutene (Bari), Ghezzal (Siena) e Meghni (Lazio), eredi di quel François Zahoui, detto Zigulì, che il presidente dell'Ascoli Costantino Rozzi tesserò nell'81.
"Una decina di anni fa – spiega Silvano Martina, che portò alla Reggiana Oba Martins e che ha lavorato col fratello avvocato di Oliseh – i ragazzi arrivavano coi camion dall'Africa e non venivano seguiti a dovere". C'è poi la questione normativa: "La legge Bossi Fini vincola i club", dice Domenico Ricci, che sa tutto di Africa. Ha iniziato come allenatore in Congo nell'86, è appena stato chiamato dallo stato nigeriano dell'Ondo per creare una scuola di giovani allenatori e sta per pubblicare con Aliberti Tutti bravi, tutti fermi, che niente si muova, il racconto della sua Africa: "In Italia non diamo agli africani il giusto supporto psicologico per farli ambientare, come fanno le squadre inglesi e francesi. Così i ragazzi preferiscono quei campionati anche perché il livello della serie A si è abbassato molto".
"Oggi, per trovare talenti più che in Africa, si va ai Mondiali Under 17", dice Ricci. Fra dieci anni - corsi e ricorsi - tutti correranno in Africa. "Ora i ragazzi si allenano con scarpe di fortuna, senza supporti audiovisivi: frequentano la Garbatella, non Oxford". Tutto sta cambiando: ad esempio, in Costa d'Avorio, su 18 milioni di abitanti ci sono più di 300 accademie dove si insegna il calcio: fra dieci anni i bambini di oggi saranno atleti fatti e finiti, corsa da antilopi, concentrazione e ancora tanta fame di fama. Atleti perfetti per il super competitivo calcio europeo.
