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Looted Art, i musei britannici tra i più impegnati nelle restituzioni

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Looted Art, i musei britannici tra i più impegnati nelle restituzioni

Stando all’elenco fornito dal Spoliation Advisory Panel, comitato istituito nel 2000 dal Governo britannico per individuare all’interno delle raccolte pubbliche inglesi gli oggetti d’arte sequestrati in Europa alle famiglie ebree durante il Terzo Reich (1933 -1945), non sono poche le opere d’arte appese alle pareti dei musei inglesi a presentare delle zone opache nella catena dei diversi passaggi di proprietà. Negli anni le richieste di restituzione da parte dei discendenti sono state più di quanto possiamo immaginare.

La conferenza di Londra alla National Gallery. Dopo più di 70 anni le problematiche relative alla riconsegna delle opere d’arte agli eredi delle famiglie ebree sono ancora sul tavolo. Durante la conferenza che si è tenuta il 12 settembre alla National Gallery di Londra “70 Years and Counting: The final opportunity?”, John Glen, Minister for Arts, Heritage and Tourism, ha dichiarato  che “a più di 70 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, alcune famiglie stanno ancora aspettando che i loro beni siano restituiti. Vogliamo che i rappresentanti dei Paesi provenienti alla conferenza da tutto il continente collaborino per  correggere questo torto storico”.

Si stima che dall’ascesa al potere di Hitler fino al 1945 siano stati razziati il 20% dei beni artistici presenti al tempo in Europa, e che 100.000 di questi oggetti, non ancora individuati, si trovino presumibilmente in collezioni pubbliche e private.

La Commission for Looted Art in Europe.

La conferenza, organizzata dal Department for Culture Media and Sport (Dcms) e dallo Spoliation Advisory Panel, è stata sponsorizzata dalla Commission for Looted Art in Europe. Questa commissione, istituita anch’essa nel 2000 con lo scopo di  assistere gli eredi delle spoliazioni di tutto il mondo, negli ultimi  dieci anni ha permesso l’individuazione di 3.500 oggetti d’arte. Grazie anche al Central Registry of Information of Looted Cultural Property 1933-1945, una piattaforma web che mette a disposizione oltre 25.000 “looted artworks” sparsi in 12 paesi che presentano, appunto, un gap, una zona buia, tra il 1933 e il 1945. Questa lacuna nella provenienza non significa necessariamente che l’opera d’arte sia stata depredata, ma circoscrive il campo della ricerca a quei 12 anni bui in cui si verificarono i saccheggi da parte delle camice nere.

Ad esempio, se cerchiamo nel database del CLAE“Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553)”, pittore rinascimentale tedesco di cui il Führer andava ghiotto, ecco che ci appare l’immagine di un ritratto di donna con cappello piumato che dal 1961 si trova nelle Bavarian State Picture Galleries di Monaco e che dal 1941 era presente nella collezione del Reichmarschall Hermann Göring.

Ma le precedenti ubicazioni rimangono ignote. A chi è appartenuto prima? A quale famiglia è stato sottratto?

I nazisti, come sappiamo, saccheggiarono anche le grandi collezioni ebraiche in Ungheria, inviando poi il bottino in Austria e in Germania. L’ubicazione attuale di un dipinto di Auguste Renoir “Conversation”

 (1874) che ritrae i modelli Frédéric Cordey e Marguerite Legrand, appartenuto ad un grande collezionista ungherese, il barone Ferenc Hatvany (1881-1958), risulta tuttora ignota.  Il quadro, secondo quanto riportato nella scheda del database, nel 1941venne fatto depositare dal barone insieme ad altri capolavori (tra cui “L’Origine du Monde” di Gustave Courbet)in una banca commerciale ungherese, pensando così di evitarne la sottrazione. Da quel momento il dipinto svanì nel nulla.  Probabilmente si trova  nascosto in una collezione privata, oppure è andato distrutto.

Gli effetti dell’ Holocaust Act (Return of Cultural Object) 2009.

Il Governo del Regno Unito, in occasione delle conferenza, ha confermato il suo impegno ad estendere gli effetti dell’Holocaust Act entrato in vigore nel 2009, che conferisce ai musei nazionali inglesi la facoltà di restituire agli eredi le opere d'arte saccheggiate durante il Terzo Reich. Infatti, gli effetti dell’Holocaust Act scadranno l’11 novembre 2019 in quanto è stata fissata nell’atto una “sunset clause” che circoscrive la sua efficacia per la durata di 10 anni. Ma molti “claims" sono ancora pendenti e l’individuazione dei beni, oltre all’indagini sulle provenienze, sono ancora in corso.

Le restituzioni da parte delle istituzioni museali britanniche.

La legge in oggetto ha permesso sino ad oggi la restituzione da parte di 17 istituzioni nazionali britanniche, tra cui il British Museum  e la National Gallery, di oggetti perduti ai loro proprietari originali o ai loro discendenti. Prima che entrasse in vigore l’Holocaust Act, le regole governative dei musei nazionali impedivano loro di cedere le opere nelle loro collezioni. A decidere sino al 2009 sulle restituzioni agli eredi delle famiglie (o sui risarcimenti ex-gratia) era esclusivamente il comitato Spoliation Advisory Panel istituito dal Governo britannico. Negli anni il comitato ha ricevuto 20 reclami da parte degli eredi e 23 “Nazi-looted art objects” sono stati restituiti o, diversamente, risarciti.

Nel 2015 la Tate ha dovuto restituire ai discendenti del barone Ferenc Hatvany (di cui abbiamo già parlato sopra) un dipinto di John Constable, “Beaching a Boat, Brighton” (1824). L’opera è stata venduta lo scorso anno da Christie'srealizzando 665.000 £.

Il Victoria & Albert Museum  nel 2014, su consiglio del Spoliation Advisory Panel, ha convenuto di dover rendere all’Estate Emma Budge, collezionista d'arte ebrea nata nel 1852 ad Amburgo e tristemente  deceduta ne1937, due sculture di Meissen che sono entrate a far parte delle proprie raccolte.

Le opere d’arte d’altronde sono tracce del passato, testimoni silenti che talvolta non lasciano filtrare i loro segreti. E’ il caso di un altro dipinto su tavola di Lucas Cranach Il Vecchio (1472-1553), risalente al 1525 circa, conservato alla National Gallery di Londra con il numero di inventario NG6344. Il quadro raffigura Amore che contempla Venere (Cupid complaining to Venus). Si tratta di un dipinto che in un certo imprecisato momento è entrato nelle disponibilità di Adolf Hitler. Venne comprato, si suppone, con le royalties delle vendite del “Main Kampf” e conservato dal Führer nell’appartamento che possedeva, a partire dal 1929, a Monaco di Baviera. Di questo capolavoro rinascimentale le vicende e i passaggi di proprietà tra il 1909 e il 1945 rimangono un mistero. A chi appartenne dopo il 1909, prima di finire nelle mani di Hitler?

Si sa solamente che la National Gallery di Londra lo acquistò nel 1963 tramite la galleria E.& A Silberman di New York, che lo intermediò per conto di Mrs. Patricia Lochridge Hartwell (1916-1998), una corrispondente di guerra americana alla quale fu permesso di entrarne in possesso in Germania nel 1945, attraverso gli ufficiali americani.

Le restituzioni in Italia: le differenze tra musei italiani ed esteri.

Anche nel nostro paese i musei si sono trovati nella imbarazzante situazione di dover restituire pezzi delle loro raccolte. E’ accaduto nel 2012 alla Pinacoteca di Brera che ha perso una splendida tela di Girolamo di Romano, detto il Romanino (Brescia, 1485 - 1566)

dal passato alquanto opaco, acquistata sul mercato dal museo milanese nel 1997.

 “Nel caso della Pinacoteca di Brera, lo Stato italiano non si era avvalso del salvacondotto noto come Immunity from seizure, che garantisce appunto allo Stato o all’istituzione che esporta temporaneamente il bene per una mostra temporanea, la garanzia che questo ritorni “a casa”,  e di non essere soggetto a misure conservative mentre è in prestito”, spiega Giuseppe Calabi dello Studio Legale CBM & Partners.

“La materia relativa alle restituzioni è regolata da atti e convenzioni internazionali che normano principi generali sacrosanti ma che di fatto, trattandosi di “soft law”, ossia di norme prive di efficacia vincolante diretta, non sono direttamente azionabili dagli aventi diritto, eredi dei soggetti che hanno sofferto uno spoglio”.

Si fa solitamente riferimento agli accordi sottoscritti da 44 paesi che hanno partecipato alla conferenza sull’Olocausto di Washington DC (1998) e alla conferenza che si è tenuta a Praga e a Terezin nel 2009.

Una delle discriminanti tra i musei italiani e quelli esteri, inglesi o americani ad esempio, sta nelle origini della loro nascita. Musei come la National Gallery di Londra  o di Washington o il Met di New York sono istituzioni private gestite da trustee, le cui collezioni si sono formate prevalentemente attraverso  lasciti o donazioni da parte di collezionisti privati o donors e successivamente integrate con nuove acquisizioni. Pertanto, per un privato procedere giudiziariamente per ottenere la restituzione di un bene è una via praticabile. “I musei italiani, invece, sono pubblici e appartengono al demanio dello Stato - prosegue l’avvocato Calabi - pertanto le loro raccolte sono inalienabili. Come potrebbe un giudice ordinare alla Stato l’alienazione di un’opera d’arte per restituirla ad un privato? La demanializzazione del bene richiederebbe delle procedure piuttosto ardue da attuare…” conclude l’esperto legale.

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