Il 2020 sarà un anno d'oro per gli Emirati Arabi Uniti, che ospiteranno l'Esposizione Universale a Dubai, prima volta di un'Expo nella regione MENASA (Middle East, North Africa, South Asia). Intanto, la capitale emiratina Abu Dhabi continua il suo progetto di affermazione identitaria e di marketing territoriale inaugurando senza soluzione di continuità architetture spettacolari nell'intera città e al contempo cercando occasioni di confronto culturale a casa propria. È trascorso un anno e mezzo dalla tanto discussa apertura delLouvre Abu Dhabi, su progetto di Jean Nouvel, frutto di un accordo intergovernativo del 2007 tra Emirati Arabi Uniti e Francia, che nel primo anno di apertura ha totalizzato 1 milione di visitatori. Nell'attesa dell'avvio dei lavori di costruzione di quello che sarà il più grande Guggenheim al mondo, disegnato da Frank O. Ghery, il museo organizza già eventi presso altre sedi su pezzi della collezione che sta costituendo, di cui fa parte anche il celebre «Cabra» (1981-82) di Jean-Michel Basquiat attualmente esposto al Louvre. Ma ad Abu Dhabi non ci sono solo brand importati dall'estero: sono di freschissima apertura (dicembre 2018) il complesso di Al Hosn, nuovo punto di riferimento dell'identità culturale della città, che comprende ilForte Qasr Al Hosn, recentemente restaurato e allestito a museo dell'Emirato; la Cultural Foundation, fondata nel 1981 dal defunto Sheikh Zayed bin Sultan Al Nahyan, primo centro culturale non profit della regione per la promozione delle attività intellettuali e creativa; laCasa degli Artigiani, che funge da centro per la conservazione e l'esposizione e la trasmissioni dei mestieri tradizionali degli Emirati Arabi Uniti e ilNational Consultative Council. In questo scenario, dal 7 all’11 aprile Abu Dhabi ha organizzato il CultureSummit 2019, terza edizione del forum annuale internazionale sulla cultura, che vede prendere parte alcune delle più influenti, note e innovative personalità del mondo della cultura, dell'informazione e della politica provenienti da tutto il mondo. Il Summit si è svolto in un altro spazio di nuova costruzione: ilCentro espositivo Manarat Al Saadiyat, che ospita eventi artistici come la fiera Abu Dhabi Art (giunta alla X edizione, con 20mila visitatori e tra le gallerie anche le italiane Galleria Continua eGiorgio Persano) e nei cui pressi sorgerà ilZayed National Museum, il museo nazionale degli Emirati Arabi Uniti, disegnato dallo studio fondato daNorman Foster.
I nomi del CultureSummit
Organizzato dalDipartimento di Cultura e Turismo di Abu Dhabi, “impegnato nello sviluppo di un panorama culturale di primo piano, allo scopo di sostenere l'evoluzione di Abu Dhabi in
una destinazione sostenibile di livello mondiale”, il CultureSummit si pone l'ambizioso obiettivo di elaborare strategie d'azione
necessarie a innescare un cambiamento reale e di costruire ponti tra le culture attraverso la definizione di un'agenda annuale.
Questa edizione ha visto i partecipanti confrontarsi sul tema “Responsabilità culturale e nuove tecnologie”, organizzata insieme
a un gruppo di partner culturali di primo piano: The Economist Events, che ha apportato il suo contributo sulle questioni relative ai media; l'Unesco, sul ruolo tangibile e intangibile del patrimonio nella società; la Royal Academy of Arts, sulle questioni urgenti del mondo dell'arte; il Museo e Fondazione Solomon R. Guggenheim, sul ruolo dei musei; Google, sull'impatto della tecnologia sull'arte, la cultura e i media. Vi hanno preso parte come relatori 55 personalità illustri
del mondo della politica come ad esempio José Luis Rodríguez Zapatero, ex presidente della Spagna; Jorge Fernando Quiroga, ex presidente della Bolivia; dell'informazione come John Prideaux, redattore di The Economist; Mina Al Oraibi, redattore capo di The National; direttori di musei e biennali come Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy of Arts, Richard Armstrong, direttore del Museo e Fondazione Solomon R. Guggenheim, Axel Rüger, direttore del Van Gogh Museum e Apinan Poshyananda, direttore artistico della Biennale d'arte di Bangkok; artisti come Oliver Beer, Michael Craig-Martin, Ala Younis, Khaled Hourani; esperti del patrimonio culturale come Lazare Eloundou, direttore Unesco per la Cultura e le Emergenze, Shadia Touqan, direttrice del Centro regionale arabo per il Patrimonio mondiale e Paolo Fontani, direttore dell'Ufficio Unesco di Baghdad.
I risultati
Organizzati in 17 panel, i relatori hanno puntato sulla condivisione delle proprie esperienze e punti di vista, come pratiche
da cui partire per costruire nuovi orizzonti culturali e rispondere alle sfide più stringenti sul tema del forum. Le linee
d'azione emerse dall'evento sono state riassunte in quattro punti:
1) Esplorare lo sviluppo di nuove tecnologie per creare musei di realtà virtuale (VR) per fornire un maggiore accesso al patrimonio
culturale e all'arte, compresa la creazione di un progetto pilota in una nazione nel Sud del mondo;
2) Istituire un'innovativa piattaforma di finanziamento che definisca i paradigmi per talenti e professionisti della cultura
a sostegno di modelli di finanziamento;
3) Istituire una banca dati internazionale del patrimonio digitale da condividere tra ricercatori e professionisti del museo;
4) Ricerca di parametri ottimali per determinare il successo dei musei e delle istituzioni culturali.
Tra i discorsi di chiusura del Summit, Mohamed Khalifa Al Mubarak, direttore del Dipartimento di Cultura e Turismo di Abu Dhabi, ha commentato: “Un risultato importante del CultureSummit è stato l'unificazione degli obiettivi. I partecipanti hanno deciso il futuro ascoltando, dando e collaborando e se ne stanno andando con una strategia unificata. Quello che abbiamo imparato gli uni dagli altri rimarrà con noi, e siamo pronti a fare la vera differenza per il futuro: passare dal desiderio al fare.”
Anche Tim Marlow, direttore artistico della Royal Academy of Arts, ha osservato quanto l'ascolto sia fondamentale: “Credo che l'articolazione della differenza sia importante e l'empatia non preclude il disaccordo. Una cosa da portarsi a casa per me è che le istituzioni non possono essere tutto per tutti e non dovrebbero cercare di esserlo. C'è un equilibrio tra l'esperienza istituzionale e l'ascolto di forze esterne, e questo è ciò per cui le istituzioni culturali dovrebbero lottare”.
Importante, inoltre, la rete di professionisti che si è venuta a creare tra i circa 350 operatori culturali, provenienti da 85 Paesi, invitati a prendervi parte come ascoltatori e che sono stati parte attiva nei laboratori pomeridiani nei quali sono stati sviluppati gli argomenti trattati nel corso dei panel. Anna Paolini, Rappresentante Unesco negli Stati arabi del Golfo e dello Yemen, ha chiuso sottolineando proprio questo aspetto: “Negli ultimi giorni abbiamo creato nuove connessioni e nuove reti che continueranno ad andare avanti e ad affrontare questi problemi critici”.
Il Panel. Media danno voce ai sotto-rappresentati
I panel sui media hanno affrontato questioni relative al rapporto con le nuove tecnologie, come rappresentare il mondo, quali
orizzonti le nuove tecnologie aprano alle notizie.
Di un certo interesse le esperienze personali condivise da alcune relatrici sul tema della diversità nella rappresentazione mediatica, su come i media possano promuovere interazioni interculturali e aumentare la rappresentazione per promuovere il cambiamento sociale. La giornalista indiana Neha Dixit, Carolina Guerrero con il podcastRadio Ambulante, Karen Okonokwo con l'agenzia fotograficaTONL Media hanno fornito esempi di come raccontare storie sulle comunità emarginate e sottorappresentate, al fine di ritrarle sotto una nuova luce, sottolineando l'importanza della rappresentazione di certi pubblici spesso ignorati, sia dalle notizie sia dalle pubblicità.
Attraverso le nuove piattaforme, i media possono fornire una contro-narrativa: Jason Leavy, direttore di VICE Media, ha sottolineato l'importanza dei nuovi mezzi digitali che consentono di raccontare le proprie storie e accedere a pubblici precedentemente irraggiungibili, mentre il caso di MuslimGirl.com, fondata da Amani Al-Khatahtbeh come reazione all'insorgere negli Stati Uniti di una dilagante islamofobia a seguito dell'11 settembre, ha evidenziato che grazie ai social media le persone hanno potuto raccontare le loro storie alle proprie condizioni.
Musei: nuovi pubblici, identità e globalizzazione visuale
Nel gruppo di panel incentrati sul museo ci si è interrogati su come questa istituzione possa abbracciare l'era digitale per
migliorare l'esperienza del visitatore, attivare il passato nel presente, come i nuovi pubblici – in particolare i nativi
digitali – stiano dando forma ai nuovi musei e infine se la cultura visuale possa essere globale.
In merito alla relazione tra passato e musei d'arte contemporanea, Alexandra Munroe, Samsung Senior Curator al Guggenheim Museum and Foundation, ha osservato che anche se le tradizionali concezioni eurocentriche dell'arte hanno subìto un cambiamento radicale, tuttavia
tra i problemi della museologia che permangono c'è quello della periodizzazione rigida del tempo e della storia. Secondo Antonia Carver, direttrice di Art Jameel, le nuove istituzioni possono trovare modi di aggirare restrizioni tradizionali come questa, in quanto hanno la libertà di
costruire la propria storia, mentre Wanda Nanibush, curatrice di arte indigena presso laGalleria d'arte dell'Ontario, ha risolto il problema della concentrazione sulla storia occidentale ponendo al centro del suo museo l'arte indigena.
Alcune linee guida sulla possibilità di una cultura visuale globale che non schiacci le identità locali ci vengono da Megan Tamati-Quennell, curatrice di Te Papa Museum in Nuova Zelanda, il cui museo include diverse culture del mondo ma si concentra sulle culture locali Maori e del Pacifico,
determinando una “inflessione locale di come rappresentare l'arte internazionale”, ed Elana Brundyn, direttrice della Norval Foundation in Sudafrica, che sottolinea che pur presentando arte da ogni luogo, il museo ha compiuto un grande sforzo per esporre artisti locali trascurati,
e al tempo stesso mostra una rappresentazione del mondo a un pubblico locale che non è in grado di viaggiare all'estero.
Patrimonio culturale: comunità colpite da emergenze e potenzialità dei nuovi media
Particolarmente densi di indicazioni operative i panel sul patrimonio culturale, a partire quello moderato da Lazare Eloundou, direttore Unesco per la Cultura e le Emergenze, relativo al contributo che il patrimonio culturale può offrire per aiutare
le comunità colpite da emergenze. Alexander Kellner, direttore del Museo nazionale del Brasile a Rio de Janeiro, ha riportato la sciagurata vicenda dell'incendio che ha distrutto gran parte del museo e della collezione, sottolineando
che l'unico lato positivo del disastro è stato mostrare al governo l'importanza del patrimonio andato perduto e la vicinanza
espressa da tutto il mondo.
Sul tema del ruolo del patrimonio nel recupero post-crisi e nella ricostruzione dopo una guerra o un grave disastro naturale, i relatori hanno condiviso esempi concreti di iniziative di recupero e di ricostruzione. Paolo Fontani, direttore dell'Ufficio Unesco di Baghdad, parlando del progetto “Revive the Spirit of Mosul”, ha sottolineato come si tratti di persone, non di edifici, che l'attenzione è rivolta alla comunità e al recupero dell'identità culturale.
Diversi i casi studio forniti sul modo in cui le nuove tecnologie possano sostenere il patrimonio in caso di emergenza. Yves Ubelmann ha mostrato il lavoro di Iconem nello sviluppo di nuovi strumenti 3D per la documentazione di siti e monumenti a rischio, utili agli archeologi per capire il sito da lontano, formando un ponte tra la comunità scientifica e le comunità in guerra; Emma Cunliffe, ricercatrice dell'Università di Newcastle, ho sottolineato l'importanza delle immagini satellitari, che rendono disponibili informazioni su aree che non sono sicure da visitare, consentendo di effettuare valutazioni rapide e sensibilizza l'opinione pubblica. Infine, Martin Roeske, Senior Manager delle Politiche pubbliche e delle Relazioni governative di Google, ha chiuso il suo intervento sottolineando che Google può essere uno strumento utile per la ricostruzione: ha ripreso la collezione del Museo Nazionale in Brasile prima dell'incendio, così come gran parte del Museo di Mosul.
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