Impresa & Territori IndustriaExport e qualità per ripartire
Export e qualità per ripartire
di Emanuele Scarci | 9 gennaio 2013
L'industria alimentare italiana patisce il crollo dei consumi, ma rimane distante dal travaglio degli altri comparti. Si sono aperte delle crepe ma la solidità del settore è fuori discussione. Anche grazie alla forza dell'export che nel 2013, nonostante prezzi medi lievemente superiori ai competitor, dovrebbe compiere a consuntivo un balzo dell'8% a circa 27 miliardi su 133 di fatturato. E nel 2014 la corsa dovrebbe continuare: le imprese, almeno quelle più strutturate, stanno operando il massimo sforzo per consolidare la presenza sui mercati internazionali. Il comparto in Italia conta su 6.200 imprese e 407mila addetti, in calo di mille unità rispetto all'anno prima.
Sul mercato interno, la produzione industriale nell'alimentare è calata, secondo, l'Istat, dell'1,3% nei primi dieci mesi dell'anno. Lo stesso trend delle vendite al dettaglio.
«Malgrado la contrazione dell'attività industriale – osserva Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – finora siamo riusciti a contenere i danni ricorrendo al blocco del turnover o agli ammortizzatori sociali. Quest'anno il ricorso alla Cig ha registrato 13,6 milioni di ore, in deciso rialzo rispetto al passato. E si sono registrati casi di ristrutturazione aziendale a cui non eravamo abituati».
Le cronache hanno proposto una raffica impressionante di nomi noti dell'alimentare alle prese con processi di ristrutturazione o con chiusure di stabilimenti. Solo i casi più recenti, hanno interessato la cessione del sito di Gaglianico della Coca Cola (con trasferimenti, Cig e incentivi per i dipendenti), il piano di gestione dei 177 esuberi strutturali che passa per mobilità volontaria e ammortizzatori sociali in deroga alla Newlat (con i marchi Polenghi, Giglio e Matese), la ristrutturazione in corso della bresaola di Rigamonti (mobilità per 104 su 260 dipendenti), l'accordo alla Heinz Italia (con i brand Plasmon, Nipiol, Dieterba, Biagult e Aproten) con 163 esuberi in Cig o incentivati all'uscita, la procedura per i 55 esuberi della Carapelli destinati alla Cig. A Conserve Italia, un colosso con un miliardo di fatturato, è stato possibile evitare la chiusura dello stabilimento con 120 addetti di Massa Lombarda, nel Ravennate, solo grazie all'accordo con i sindacati per un piano di razionalizzazione dei processi industriali. La società ha pure ceduto lo storico marchio De Rica alla Generale Conserve per 6,5 milioni su 8 di fatturato.
«Nel 2013 – osserva Ferrua – abbiamo raggiunto il fondo della crisi. Non so però se adesso riusciremo a risalire presto». Certo è che cinque anni di crisi hanno esasperato anche i rapporti con la grande distribuzione. Alle accuse di aver conservato margini intorno al 6-7%, Ferrua risponde che «i margini dell'industria sono scesi al 2-2,7%. La crisi ha ridotto i margini per tutti». Poi sul controverso art. 62 (regola i tempi dei pagamenti nelle transazioni) al presidente di Federalimentare non risulta che ci sia in programma un tavolo ministeriale, con industria e distributori, per la sua modifica. «Aspettiamo invece – osserva – un decreto attuativo espressamente previsto dalla legge». Negli ultimi anni la corsa delle esportazioni ha attenuato i problemi del mercato domestico. «L'export tricolore – conclude Ferrua – potrebbe raggiungere la stessa quota della Germania che non ha una grande tradizione gastronomica. I tedeschi esportano il 30% della produzione, l'Italia è al 20».
Negli ultimi anni il vino è risultato il maggiore driver di crescita del made in Italy. Quest'anno l'export dovrebbe calare in quantità ma aumentare in valore, intorno ai 5 miliardi. Conforta che accanto ad aree con grande vocazione all'export – come il Veneto (il fenomeno Prosecco non finisce di stupire: +27%), la Toscana e il Piemonte – si affianchino altri territori. Per esempio, la Franciacorta che «nel 2013 – dichiara Maurizio Zanella, presidente del Consorzio Franciacorta – ha aumentato le esportazioni a doppia cifra, grazie alle attività di promozione e comunicazione pianificate dal Consorzio nell'ultimo anno, in particolare in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone e Germania».