Aveva 53 anni

Calcio: è morto Sinisa Mihajlovic

L’ex allenatore del Bologna, da tempo malato di leucemia, è morto in una clinica di Roma all’età di 53 anni

Addio a Mihajlovic, nel 2019 il trapianto: "Sono un uomo con le sue fragilità"

3' di lettura

Sinisa Mihajlovic si è spento oggi a Roma dopo una battaglia di due anni e mezzo con la leucemia. Il 53enne serbo, ex allenatore del Bologna, ha lottato come un leone fino all’ultimo contro la malattia come è sempre stato solito fare sia nella vita di tutti i giorni, sia nel calcio, in campo prima e in panchina poi.

La famiglia: «Morte ingiusta e prematura»

L’annuncio in un comunicato della famiglia: «La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti», le parole dei familiari. «Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi».

Loading...

Lottatore fino all’ultimo

Come faceva in campo, Mihajlovic ha giocato fino all’ultimo, senza mai darsi per sconfitto, fedele al suo temperamento da combattente cresciuto nella Vukovar di Tito. «Mi sono rotto di piangere, non ho più lacrime. Ora mi godo ogni momento», dichiarò nel novembre del 2019, dopo aver annunciato quattro mesi prima di essere affetto da leucemia mieloide acuta, strappò sorrisi pieni di commozione ringraziando per l’affetto e la vicinanza dei tifosi del Bologna e dei suoi fan, impazienti di ritrovarlo sulla panchina dei rossoblù.

L’ex centrocampista serbo esploso nelle file del Vojvodina e poi nella Stella Rossa prima di trovare un nuovo amore e una seconda patria in Italia prima alla Roma, poi alla Sampdoria, Lazio e Inter non si è mai sentito un eroe per quello che stava affrontando. «Sono un uomo, forte e con carattere, che non si arrende mai. Ma sempre un uomo, con tutte le sue fragilità», confessò raccogliendo il pensiero traversale di tanti nelle sue stesse condizioni, alle prese con una malattia che spesso non dà scampo e a chi riesce a farcela lascia comunque minato il corpo e lo spirito.

Un calvario durato due anni e mezzo

Per oltre due anni e mezzo ha dato forza e coraggio a quanti come lui sono scesi in campo per sfidare una malattia che dopo averla domata lo scorso marzo è tornata a colpire il suo fisico dopo vari cicli di chemioterapia e un trapianto di midollo osseo donatogli da un ragazzo degli Stati Uniti, Paese che non amava dopo il bombardamento Nato della Serbia.

Dotato di un sinistro potente e preciso, è ritenuto uno dei maggiori specialisti della sua generazione nell’esecuzione di calci piazzati, reputazione acquisita durante la sua militanza nelle fila della Stella Rossa, tanto che il suo tiro (spesso scagliato oltre i 150 chilometri orari) divenne oggetto di studio di alcuni ricercatori del dipartimento di fisica dell’Università di Belgrado.

Soprannominato ’Sergente’ per via del forte temperamento, aveva scritto nel destino diventasse allenatore pieno di pathos, per la decisione e la severità con cui sprona i propri giocatori a dare il meglio di sé stessi, oltre che per la tendenza a dare fiducia agli elementi più giovani della rosa.

Dopo il campo, una carriera da allenatore

Iniziò la sua avventura da tecnico facendo il vice allenatore all’Inter guidata da Roberto Mancini, per poi approdare a Bologna, Catania, Fiorentina, diventare ct della Serbia (mancando la qualificazione ai Mondiali del 2014) per poi tornare in Italia, alla guida di Sampdoria, Milan e Torino. Dopo una parentesi allo Sporting Lisbona durata lo spazio di appena nove giorni (sollevato dall’incarico dal nuovo presidente), si era accasato nel 2019 nuovamente sulla panchina del Bologna in sostituzione dell’esonerato Filippo Inzaghi.

In carriera ha conquistato una Coppa dei Campioni nel 1990-91 con la Stella Rossa, una Coppa delle Coppe e una Coppa Uefa con la Lazio (nel 1998 e nel 1999), tre campionati jugoslavi (uno con il Vojvodina e due con la Stella Rossa), due scudetti con Lazio (1999-2000) e Inter (2005-2006), quattro Coppe Italia (due in biancoceleste e due in nerazzurro) e tre Supercoppa italiana.

Guascone e spesso irriverente («Con Mourinho non posso parlare di calcio perché non ha mai giocato e non può capire»), amava ricordare la sua Serbia, prima bombardata e poi abbandonata. Miha non era veloce ma, come gli riconoscevano i suoi avversari, sapeva sempre dove finiva la palla. E forse nonostante la sua grinta e il suo sorriso, la sua forza e le sue battute sagaci che facevano sempre la felicità dei titolisti, era consapevole di quale fosse il suo destino. «La leucemia? Spero dopo questa esperienza di uscire come uomo migliore. Nella vita precedente, la pazienza non era il mio forte ma la pazienza in questi casi la devi avere per forza», ammise senza pietismi.

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti