Commenti

In cambio di che cosa

  • Abbonati
  • Accedi
Le misure del governo contro la crisi

In cambio di che cosa

La domanda è: in cambio di che cosa? Noi accettiamo di pagare di più (molto di più) ma non in bianco. Vogliamo pagare il nostro biglietto, Ici e dintorni pesanti. Siamo pronti a farlo e vigileremo fino in fondo sul tasso di equità dei sacrifici richiesti.

In cambio, però, la manovra da 30 miliardi lordi del governo Monti deve favorire, in misura significativa, il rientro della bolla dei tassi di interesse sul titolo Italia: più forti saranno tali benefici e più elevate saranno la quantità e la qualità delle risorse che si libereranno per stimolare una crescita sana e minori saranno i costi che le imprese dovranno pagare per comprare denaro, continuare a produrre reddito e occupazione.
Il professor Monti si è rivolto direttamente ai cittadini italiani e ha ricordato di avere ricevuto dal capo dello Stato e dal Parlamento «un mandato ad aiutare l'Italia ad uscire da una crisi gravissima» e non ha rinunciato a sottolineare che è convinto che «l'Italia è capace di trovare la forza in sé per risolvere questi problemi». Dietro questo appello a sostenere quello che ha definito il «decreto salva-Italia» c'è la consapevolezza del nostro presidente del Consiglio dell'entità dei rischi che potrebbe ancora correre l'Italia alle prossime aste di titoli pubblici in assenza di un aggiustamento così imponente dei suoi conti pubblici qual è quello prospettato ieri: in pratica si anticipa la manovra già anticipata dal 2014 al 2013 direttamente al 2012.

Vogliamo dire subito che condividiamo le valutazioni responsabilmente preoccupate di Monti: giovedì 10 novembre abbiamo titolato in prima pagina FATE PRESTO e chiedevamo di dare all'Italia un governo competente e politicamente forte per la semplice ragione che il giorno prima si era chiuso con uno spread BTp-Bund di 575 punti (record storico) e i tassi di rendimento dei nostri titoli pubblici ben al di sopra del 7%, una situazione (gravissima) sostenibile solo per un periodo limitato di tempo, tale da non consentire vuoti di governo, una situazione che non è ancora terminata. Questa è la verità.
Alla vigilia di due importanti appuntamenti europei e dopo poco più di due settimane dal suo insediamento, il governo Monti presenta una manovra che si propone di "stupire" mercati e istituzioni europee per la sua durezza e lancia (timidamente, ma correttamente) alcuni semi sul terreno italiano della crescita diventato arido dopo almeno un paio di decenni di abbandono.

Questa manovra è pro-ciclica, non anti-ciclica, il peso dei prelievi fiscali in generale e, in particolare, sulla casa colpisce in modo preponderante il ceto medio italiano che paga da sempre le tasse ed è riconoscibile e contiene, di per sé, un pericoloso (ancorché inevitabile) effetto depressivo (l'abolizione dell'inasprimento dell'Irpef sui soliti noti, auspicata dal nostro giornale, è positiva). Sostenere, però, come si è fatto con più di qualche superficialità, che questa manovra non contiene tagli strutturali alla spesa pubblica non è vero e, soprattutto, è grave perché incide sulle aspettative che riguardano il titolo Italia e, di riflesso, incide sul risparmio e il lavoro di tutti gli italiani.

Come plasticamente dimostrano le reazioni di tutti i sindacati la riforma previdenziale contenuta nella manovra è solida e molto seria. Si incide direttamente sul tabù delle pensioni di anzianità (la Lega non ha mai consentito al governo Berlusconi di intervenire su questo tema) e dal prosssimo anno si passa per le uscite di vecchiaia a 66 anni per gli uomini e a 62 per le donne, entro il 2018 ci sarà la piena parificazione. Tutto avviene per decreto. Non è poco, anzi. Pesanti (anche) i tagli agli enti locali e questo può aiutare a recuperare le virtù smarrite da tempo, in molti casi, nella spesa pubblica locale. Il giudizio complessivo sulla manovra dipenderà molto dalla qualità degli interventi messi in campo per la lotta all'evasione fiscale (ci sono segnali di svolta con la tracciabilità sopra i mille euro ma bisogna fare di più) e da quegli elementi indispensabili di equità che sono misurati dall'entità degli interventi (tassa sul lusso e progressività dell'Ici, prelievo una tantum sui capitali rientrati con lo scudo) e, soprattutto, su chi ha di più (deve dare di più, vero presidente Monti?) e non ha dato mai niente ed è bene che cominci, con le buone o con le cattive, a dare molto.

Capitolo a parte meritano i costi della politica, in genere, e della casta (molto più diffusa e insidiosa) in particolare: la fiducia si conquista agendo, su questi terreni, senza guardare in faccia a nessuno, la «finestra» del governo Monti è a termine (come lui stesso ripete) ed è, quindi, opportuno non perdere tempo. Mi sembra che gli interventi prospettati sul taglio di enti inutili, authority, pubblica amministrazione e Province riflettano realismo e capacità di azione, mancano di un surplus di intraprendenza che ci aspettiamo emerga nei prossimi mesi. Qualcosa c'è, anche più di qualcosa, ma la delicatezza dei tempi che viviamo impone di essere ancora più determinati.

Resta il tema di fondo: in cambio di che cosa si fanno questi nuovi tagli e si eleva fino a una soglia stellare la quota delle entrate fiscali? Se lo si fa per garantire all'Italia la via di uscita dal rischio (reale) di insolvenza in cui è precipitata e lo si potrà riscontrare, in modo tangibile, sui differenziali BTp-Bund e su una nuova credibilità in Europa che contribuisca a prendere le decisioni che servono per immettere più liquidità nell'eurozona e dare alle banche i mezzi per sostenere gli impieghi, allora è certo che ne sarà valsa la pena e il governo Monti avrà vinto la sua prima sfida e ci avrà sottratto alla prospettiva della spirale perversa greca. Altrimenti, se dovrà rivelarsi solo un'altra manovra dopo le tante che l'hanno preceduta e le nuove che obbligatoriamente verrebbero, vorrà dire che questo governo (e il Paese) hanno perso la loro ultima chance.

Perché questa seconda ipotesi non si appalesi bisogna che la manovra venga vissuta come un primo step e ci permetta da oggi (non da domani) di capire il come, il quanto e in che modo si vorrà agire nei prossimi tre-sei mesi per attivare (finalmente) una vera spending review sulla spesa pubblica e liberare le risorse indispensabili per stimolare una politica orientata alla crescita e chiarire (una volta per tutte) con quali provvedimenti, soggetti, e grado di consenso, si intenda attuarla. Il risveglio italiano passa di qui, in questo passaggio stretto, dove le intelligenze tecniche, l'orgoglio civile, la responsabilità politica e le capacità d'intrapresa dell'economia devono mettere da parte gelosie e tabù ideologici per sperimentare il cammino difficile della coesione e del cambiamento.

© Riproduzione riservata