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Un piano nazionale contro la povertà

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emergenze

Un piano nazionale contro la povertà

Nel 2015 il Governo si dedicherà alla lotta contro la povertà? Il recente editoriale di Ricolfi spinge a chiedersi se Renzi vorrà essere il primo premier nella storia italiana a dare rappresentanza alle richieste di sostegni per fronteggiare il disagio, ben radicate nella nostra società ma regolarmente dimenticate nel momento di compiere delle scelte politiche.

L’esplosione della povertà in Italia. Nel 2007 nel nostro paese sperimentavano la povertà assoluta 2,4 milioni di persone – pari al 4,1% della popolazione - che nel 2013 erano salite a 6 milioni, il 9,9%. L’indigenza ha rotto i confini che tradizionalmente ne delimitavano la presenza nella società italiana. Fino a pochi anni fa, si concentrava al Sud, tra gli anziani, tra le famiglie con molti figli e laddove manca il lavoro. Nella fase recente, non solo ha confermato il suo radicamento tra questi segmenti della popolazione ma si è anche diffusa notevolmente in altri, prima ritenuti poco vulnerabili: il centro-nord, le giovani famiglie, i nuclei con almeno 2 figli e quelli con componenti occupati.

Quella assoluta è la povertà vera e propria. La sperimenta, infatti, chi non può sostenere le spese necessarie ad acquisire i beni e i servizi essenziali, nel contesto italiano, per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile (alimentarsi adeguatamente, vivere in un'abitazione di dimensioni consone, con acqua calda ed energia, vestirsi decentemente, riuscire a spostarsi sul territorio e così via).

Le risposte del welfare. L’Italia è, insieme alla Grecia, l’unico Paese europeo privo di una misura nazionale contro la povertà. I tratti principali di queste prestazioni sono ovunque gli stessi: ogni famiglia indigente riceve un contributo economico, pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà. Gli interessati fruiscono, inoltre, dei servizi – sociali, educativi, per l’impiego - utili a costruire nuove competenze e/o ad organizzare diversamente la propria esistenza, forniti da Comuni, Terzo Settore e altri soggetti del territorio. S’introduce così un diritto nazionale e gli si dà sostanza attraverso il forte coinvolgimento delle comunità locali. Parallelamente, vengono coniugati i diritti di cittadinanza (usufruire della misura) e i doveri verso la collettività (gli utenti devono impegnarsi per perseguire la propria inclusione sociale e/o lavorativa). L’assenza di adeguate politiche si riflette nella dimensione della spesa pubblica contro l’esclusione sociale, che in Italia è inferiore dell’80% alla media europea (0,1% del Pil rispetto a 0,5%).

Durante la crisi, mentre la povertà galoppava le già esili risposte pubbliche venivano ulteriormente indebolite. L’unico contributo economico attivato è stata, nel 2008, la Social Card - 40 € mensili rivolti a nuclei indigenti con un bambino entro i 3 anni o un anziano con più di 65 –che ha avuto un impatto del tutto marginale, per l’esiguità dell’importo e le poche persone raggiunte. In assenza di altre risposte, i soli presidi pubblici rimasti ad affrontare l’accresciuta domanda di aiuti sono stati i Comuni, ai quali durante la recessione lo Stato ha nettamente diminuito i già limitati stanziamenti.

L’azione del Governo Renzi. Una misura nazionale contro la povertà avrebbe dovuto essere introdotta negli scorsi vent'anni, in un quadro di finanza pubblica più favorevole. Ciò non è avvenuto perché la battaglia contro questo flagello non è mai diventata una priorità di nessuno dei principali schieramenti. Qui, ma non è certo l’unico caso, Renzi è chiamato oggi a fare le cose giuste nel momento sbagliato.

Nel 2014, però, l’attuale Esecutivo non ha collocato la lotta alla povertà tra i propri obiettivi. Nonostante i fondi sociali per i Comuni siano stati leggermente incrementati, l’aumento è destinato a persone con disabilità, anziani non autosufficienti e nidi, non ai poveri assoluti. Anche il bonus di 80 euro mensili è rivolto ai redditi medio-bassi ma non a loro.

Intanto si sta svolgendo la sperimentazione di una nuova misura, la “Nuova Social Card”, predisposta dal Governo Letta ed ereditata, insieme ai relativi finanziamenti, dall’attuale Esecutivo. È stata avviata lo scorso anno nei 12 Comuni più grandi e nei prossimi mesi sarà estesa alle Regioni meridionali. Raggiunge, però, assai pochi poveri: alcune famiglie in condizione di disagio lavorativo e con almeno un figlio minorenne e – come detto - solo in alcune aree del paese. Inoltre, i fondi stanziati basteranno al massimo per pochi anni. Se questo percorso – che richiede l’investimento congiunto degli operatori e degli utenti coinvolti- non sarà collocato in una complessiva strategia di sviluppo della lotta all'esclusione, la sua rapida conclusione avrà l'unico esito di provocare frustrazione in tutti.

Un Piano nazionale contro la povertà. La sperimentazione, invece, dovrebbe confluire in un ben più ampio Piano, che introduca gradualmente – ad esempio in 4 anni - una misura nazionale indirizzata a tutte le famiglie in povertà assoluta, valorizzando gli interventi contro il disagio già oggi presenti, grazie a Terzo Settore ed enti locali, nei vari territori del paese.

Bisognerebbe cominciare dai più poveri tra i poveri – agendo così subito sulle situazioni di maggiore gravità - e ampliare progressivamente l’utenza affinché a partire dal quarto, e ultimo, anno del Piano la misura, a regime, raggiunga tutte le famiglie in povertà assoluta. Sin dall’avvio il Governo dovrebbe assumere precisi impegni riguardanti il punto di arrivo e le tappe intermedie, in modo da costruire un quadro di riferimento certo che permetta a tutti soggetti in campo di operare al meglio verso un comune obiettivo. Lo stanziamento necessario crescerebbe gradualmente sino a giungere, a regime, a circa 7 miliardi di euro, cifra che porterebbe la spesa contro l’esclusione in Italia sostanzialmente al livello della media europea.

Il Piano è proposto dall’Alleanza contro la Povertà in Italia, sorta nel 2013 (chi scrive ne è coordinatore scientifico) per sensibilizzare il Governo sulla necessità di interventi e composta da numerose associazioni (Acli, Caritas, Forum Terzo Settore, Action Aid, Banco Alimentare, Save the Children e molte altre), dalle rappresentanze di Comuni e Regioni, e dai sindacati. È la prima volta che un numero così vasto di attori sociali e istituzionali dà vita a un simile sodalizio: la sua nascita è un tentativo di affrontare le difficoltà nella rappresentanza politica dei poveri segnalate da Ricol fi.

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